Costume
La Cucina Italiana cambia veste con il numero di Natale
UN SALTO NEL PRESENTE, UN OMAGGIO AL PASSATO: CON IL NUMERO DI NATALE LA CUCINA ITALIANA CAMBIA VESTE
«Amo il bello e il buono ovunque si trovino», scriveva Pellegrino Artusi nel 1891, «e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio». Il 15 dicembre 1929 nasceva La Cucina Italiana che, di fronte alla «decadenza della cucina famigliare» causata dalla «mancanza di tempo per il pasto giornaliero comune», si proponeva di far entrare nelle case italiane, dopo averli cucinati e sottoposti a un Comitato di Degustazione di cui facevano parte — fra gli altri — Massimo Bontempelli e Filippo Tommaso Marinetti, piatti buoni e belli come i natalizi «Capponi ingrassati con tartufi e Salsa Madera» creati da Amedeo Pettini, Capo Cuoco di Vittorio Emanuele III. Ottantotto Natali dopo La Cucina Italiana — il primo giornale italiano di gastronomia con la cucina in redazione — si rinnova completamente per declinare in chiave contemporanea quello storico impegno a promuovere, nelle abitudini alimentari degli italiani, «il bello e il buono».
Il numero di dicembre del mensile, unico italiano di nascita tra i brand Condé Nast, inizia a stupire già con la potenza visiva della copertina, dove una Ciambella «velluto rosso» — la cui ricetta è uno dei regali di Natale fatti ai lettori da Nicola Di Lena, pastry chef del Seta, il due stelle Michelin del Mandarin Oriental di Milano — campeggia su un letto di fiori e bacche. Un’immagine innovativa e dal sapore internazionale in un’Italia dove la stampa gastronomica è più che altrove rimasta legata a modelli vecchi, e una grafica che coniuga la modernità dei titoli a una testata ridisegnata da Mucca Design — studio newyorkese di Matteo Bologna, italianissimo e figlio tra l’altro di una lettrice del mensile — in omaggio al logo che andava in copertina negli Anni Cinquanta.
Altrettanto eclettico il mix dei contenuti. C’è, come sempre c’è stato, il ricettario diviso in sezioni, dagli antipasti ai dolci, dalle specialità natalizie regionali al cenone vegano. Ma in un’era in cui la semplice ricetta è facilmente reperibile su Internet, c’è e ci deve essere molto di più: storie di ampio respiro, da un tour delle nuove mete gourmet di Milano e Roma a uno speciale bollicine che abbina ogni bottiglia a un cibo e a una musica, un trattamento fotografico improntato ai valori di eccellenza Condé Nast e capace di esaltare aspetti — come l’apparecchiatura — che Internet e Instagram non valorizzano, e rubriche originali, dal galateo delle feste per famiglie allargate al ricordo di Natale firmato da una lettrice speciale (Cristina Donadio, la Scianel di Gomorra). Per arrivare alla sezione finale, che si chiama La Cucina Italiana - La Scuola come il centro di corsi di cucina interno alla sede Condé Nast, e che propone una serie di tutorial, dalla ricetta per “absolute beginners” a quella per viziare il cane di casa.

«Non ha senso vedere i brand come terreno di battaglia tra l’online e l’offline», dice il direttore editoriale Luca Dini. «I più innovativi palinsesti mediatici si basano, oggi che la preistoria digitale è finita, su un equilibrio tra giornale fisico, web e esperienza live. Il successo crescente dei libri di carta e dei dischi in vinile non è nostalgia vintage, anche perché è trainato da consumatori millennial che non hanno alcun ricordo dell’era pre-Internet. Semplicemente, la fruizione che l’analogo offre ha una ricchezza non totalmente riproducibile su uno schermo. Ma ha bisogno di avere intorno una galassia digitale che lo alimenti e ne moltiplichi le occasioni di interazione, e ha anche bisogno di una declinazione esperienziale».

La Cucina Italiana si basa non a caso su tre pilastri: un centro di gravità, il giornale, che offre un’avventura visuale e narrativa unica; un sito e una piattaforma social che si si sono trasformati in parallelo per rispecchiarne lo stile e il tono di voce, e che raggiungono ogni mese una audience di oltre 4 milioni di contatti (+56% uu, +30% pv yoy); un luogo fisico di esperienza profonda e coerente con il brand, La Scuola, che con i suoi cicli di lezioni — forti di un’interazione one-on-one non replicabile sul digitale — introduce ogni anno 6 mila persone, tra privati e gruppi aziendali, all’arte della cucina, con diversificazioni come i corsi professionali e quelli per bambini.
I tre pilastri si prestano poi a espansioni — speciali cartacei, libri, verticali web, corsi off site, eventi sul territorio, merchandising, internazionalizzazione del brand — che stanno già avvenendo e che stanno già producendo risultati. La Cucina Italiana ha conquistato, grazie alla sua evoluzione, una diffusione media di 61 mila copie e una readership media di 752 mila lettori. E la capacità di proporre un’offerta di comunicazione completa, articolata, atta a creare un’experience attorno al prodotto ci permette di dire che dal punto di vista della performance commerciale siamo solo all’antipasto. Buon appetito!