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Cronache
Coronavirus? Un tempo scherzavamo col colera. Oggi siamo davvero alle cozze...

Coronavirus? Un tempo scherzavamo anche col colera. Oggi siamo alle cozze

Sono abbastanza vecchio per ricordare un’altra epidemia che scosse terribilmente l’Italia - quella del colera a Napoli del 1973 - e per cavarne qualche confronto. Vi dico subito che ho una brutta impressione: siamo peggiorati. Siamo diventati rabbiosi, ringhiosi, intolleranti, aggressivi. Un’epidemia di colera non è mai stata una passeggiata ai giardinetti e non lo è neanche questa del coronavirus. Ma quarantasette anni fa ci veniva più facile maneggiare una bruttissima faccenda con più distacco, con un pizzico di leggerezza, se non proprio con un sorriso all’angolo della bocca.

Alle filippiche sociali e ai trattati virologici, che imperversavano anche allora, si alternavano storielle gustose quanto irriverenti. Ebbe grande successo quella degli sposini che avevano scelto Napoli per il viaggio di cozze. E pari fortuna toccò alla fulminante proposta di erigere a Napoli un monumento al mitile ignoto. Il vibrione – protagonista batterico dell’epidemia, col nome di vibrio cholerae – veniva personificato, era un personaggio significativo nei discorsi dei napoletani. E questo voleva dire che ‘o vibbrione non faceva paura. I napoletani l’avevano disarmato con la loro eterna spericolata ironia.

Oggi la radicalizzazione ideologica ha tolto il sorriso alle discussioni. Ogni dibattito è un processo, ogni materia del contendere è inesorabilmente drammatica. Non sappiamo più conversare senza mordere, non riusciamo più a distinguere le questioni pure serissime dalla fine del mondo. Il raffinatissimo Lord Chesterfield direbbe che abbiamo perso the Graces, “le Grazie”.

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Con tutto il rispetto per Gesù Cristo, gli apostoli e Leonardo da Vinci, oggi mi ha confortato la foto che girava sul web:  un’Ultima Cena con la mensa completamente deserta, come quelle di tanti ristoranti disertati dagli avventori in questi giorni, e con la sovrascritta “Qui a Milano stiamo esagerando…”. Finalmente, mi son detto, un soffio di humour sulla tragedia nazionale. Cordoglio profondo per le vittime del coronavirus, solidarietà sostegno e auguri a chi ancora ci sta combattendo. Ma non sia negato un alito di levità a chi apprezza la vita.

E magari apprezza anche le cozze, come me. Questa foto (in alto a sinistra, ndr), fatta domenica nella pizzeria di Salvatore Marigliano, a Milano, è riservata a certi miei amici ristoratori di  Nizza, che mi fanno tutte le volte pentire di avere ordinato una impepata di cozze, servendomi un piatto ricolmo di guscetti neri non più grandi di un'unghia con dentro uno straccetto avvizzito e insapore non più grande di un cecio. Impàrino che cosa noi napoletani intendiamo per cozze, anche quando incombe il coronavirus. Anzi, proprio quando, incombendo il coronavirus, ogni rinuncia potrebbe essere irrecuperabile.

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