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Cronache
Generale Iorio: "Ecco perché caporalato e lavoro nero fermano lo sviluppo"

A fine maggio, dopo una serie di denunce, i carabinieri del Comando Tutela Lavoro e di tutti i Comandi provinciali hanno ascoltato oltre mille 'rider', i fattorini dei servizi digitali di consegna, per un’indagine sul caporalato nell'ambito delle consegne di cibo a domicilio. Un settore nuovo. Il lavoro sommerso si è diffuso in ogni ambito da decenni e con il Covid questo processo di trasformazione si è accelerato. L’emersione del lavoro nero è anche uno dei punti cardini del recente piano Colao, l’insieme delle iniziative di rilancio ideate dalla task force guidata dall’ex manager di Vodafone Vittorio Colao. Ma quali sono gli interventi contro il caporalato, il lavoro nero e il sommerso? E perché questi ambiti sono dirimenti per il nostro sviluppo? Lo ha spiegato ad Affari il generale Gerardo Iorio, comandante nazionale del Nucleo Tutela lavoro dei Carabinieri.

 

Come è diffuso il lavoro nero in Italia?

“Il quadro della minaccia attuale vede il lavoro nero esteso in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Così come il caporalato. Anche se si pensa siano problemi del Sud. Invece facciamo arresti anche a Mantova, Treviso, Macerata, Piacenza. Essendo fenomeni connessi al mondo del lavoro, questi sono diffusi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Gli illeciti non hanno una precisa connotazione geografica, ma per settori sì, lì si possono fare differenziazioni”.

 

Di che tipo?

“Il settore agricolo è quello in cui più frequentemente è diffuso il fenomeno del caporalato. Oggi l'azione di contrasto viene fatta con una norma del 2016 che risulta estremamente efficace, il 603 bis. I meccanismi di acquisizione probatoria, cioè di ricerca della prova, come le intercettazioni, il sequestro, l'osservazione, il pedinamento permettono di avere una foto più completa di ogni caso. E l'Arma dei carabinieri costituisce una risposta efficace al fenomeno”. 

 

Per come l’Arma affronta il problema?

“Si, l’Arma affronta questo tipo di reato in maniera sistemica, utilizzando tutte le risorse a disposizione e tutte le linee ordinative istituzionali, come gli specialisti del Comando Tutela lavoro che integrano la propria attività con le componenti investigative provinciali, sapendo che l’Arma fa anche un'attività di controllo del territorio. L'attività di raccolta delle informazioni è di prossimità al cittadino che può rivolgersi alle stazioni dei carabinieri territoriali ogni volta sia in difficoltà, per mettere in moto un'attività di verifica e di repressione del fenomeno. La capillarità dell'Arma, circa 5000 stazioni diffuse sul territorio, costituisce un presidio di legalità fondamentale per agevolare l'emersione del fenomeno, non solo in termini di normativa ma anche in termini di denunce che possono esercitare i lavoratori ma anche le associazioni di categoria o chiunque abbia a cuore un intervento”.

 

Con la norma 603 bis è cambiato molto il vostro modo di procedere? 

“Questa norma ha introdotto il reato di intermediazione illecita di manodopera. E’ stata aumentata la pena che consente anche nelle attività di indagine l’utilizzo delle intercettazioni. Ma bisogna considerare che la figura del caporale è l’immagine più palese di un sistema, è la più esposta. Ma parliamo di un sistema molto articolato che in quanto tale necessita di una risposta e di un'azione di contrasto articolata che vada ben oltre la figura del caporale e preveda una manovra investigativa che può essere fatta solo se ci sono delle norme adeguate che lo consentano. Il 603 bis è sicuramente una norma vincente per un'azione di contrasto efficace nella lotta al caporalato, come dimostra peraltro l'aumento vertiginoso dei risultati del 300%. Nel 2019, 570 persone sono state denunciate di cui oltre 150 in stato d'arresto e solo una minima parte erano in flagranza di reato”.

 

Quali sono i numeri negli ultimi anni?

"Le ispezioni negli ultimi due anni sono aumentate del 260 %, rispetto agli anni precedenti, con 756 persone deferite all’Autorità Giudiziaria e ben 164 in stato d’arresto. La task force dei Carabinieri ha all’attivo 28.000 interventi nelle aziende, 5.000 denunce e circa 30 milioni di euro recuperati per evasioni contributive. E’ un lavoro sinergico che facciamo con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’Inps, l’Inail, le Asl. E’ un lavoro capillare effettuato con le Stazioni territoriali, dalle Unità Specializzate come i Nuclei Ispettorato del Lavoro, i Nuclei Antisofisticazione e Sanità e con il supporto dei Nuclei Elicotteristi”.

 

In quali settori sono più diffusi i problemi?

“Si pensa all’edilizia ma invece il terziario ricopre una percentuale che sotto certi aspetti ha sorpreso anche noi. Il ‘nero’ è molto diffuso anche nel terzo settore e nei servizi. Non è certamente un problema connesso solo con l'agricoltura. Il problema del lavoro nero ha altre ripercussioni se seguiamo la liquidità del denaro che viene acquisita. Il problema quindi non è solo il contrasto agli imprenditori disonesti ma anche alla criminalità organizzata che sfrutta questi imprenditori o di cui magari questi fanno parte. Senza criminalizzare nessuno dobbiamo sempre guardare al contesto e di che tipo di ‘nero’ si tratta. Perché in questi casi viene utilizzata da più ampi meccanismi della criminalità per finanziare fenomeni di usura”.

 

Può spiegare con degli esempi pratici come funziona?

“Per tracciare un modello potremmo far vedere l'imprenditore edile che ‘prende’ 50 lavoratori in ‘nero’ e magari li paga 30-40 euro al giorno ognuno. Guadagnerà con la vendita degli appartamenti che ha costruito 100.000 euro. Sono soldi liquidi, non tracciati, che possono essere impegnati nell’usura con interessi al 100%. Fra qualche mese diventeranno 200.000 euro. Con questi 200.000 euro si finanzierà l'apertura di un nuovo cantiere. Verranno messe al lavoro altre persone in ‘nero’, e si andrà avanti così. E’ questo il modo che spiega come l'economia sommersa alimentata dal mercato ‘nero’ diventa un vettore di sviluppo della criminalità organizzata. Quello che bisogna fare quindi è incidere sul ‘sistema del lavoro nero’ che contribuisce ad alimentare la criminalità, motivo per il quale va contrastata in modo strutturato con attività  investigative profonde che le norme ora ci consentono di fare”.

 

E’ un fenomeno esteso. Ma come lo si circoscrive?

“Abbiamo a disposizione l'Arma dei carabinieri. La specializzazione dei vari reparti ci permette di andare a segno. Poi l'attività investigativa e il controllo del territorio svolgono un’altra parte della funzione fondamentale. Quindi il nostro è un modello operativo ed istituzionale che funziona, vista la capillarità sul territorio e la presenza di componenti specialistiche nell’Arma. Siamo un presidio di prossimità fondamentale per l'azione di contrasto. Con queste norme efficaci che abbiamo e le denunce dei lavoratori possiamo davvero procedere verso una riduzione sostanziale del fenomeno”.

 

Quanto è sentito questo tema dentro l'Arma?

“È molto sentito, sia perché ha un rilievo istituzionale, l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, sia se si considera che il lavoro ha un valore ancora superiore in questa particolare congiuntura economica”.

 

Come si sono sviluppati i vostri controlli durante il lockdown del Coronavirus?

“Non è stato un periodo facile perché vi era molto disorientamento soprattutto nei primi tempi. Anche molte imprese essenziali che sono rimaste sempre aperte non sapevano bene come comportarsi. In un contesto generale poi in cui le mascherine mancavano siamo stati dei risolutori di problemi, anche solo dando consigli su come allestire al meglio le strutture. Stesso discorso è valso per quegli imprenditori che si accingevano ad aprire su autorizzazione dei prefetti, visto che erano fornitori o parte dell’indotto dei beni essenziali”.

 

E rispetto alle condizioni dei lavoratori che interventi avete fatto durante il Coronavirus?

“Per i lavoratori abbiamo verificato la sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza nelle aziende”.

 

In generale che riscontri avete avuto?

“Molto positivi, soprattutto da parte delle grandi aziende, quelle che sono rimaste sempre aperte. In larga parte la risposta degli imprenditori è stata corretta e i lavoratori tutelati. Ci sono stati però anche casi gravi ma erano già problematici prima dell'emergenza. Il Coronavirus ha solo aggravato una condizione in essere. In quei casi siamo intervenuti in maniera abbastanza netta, decisa. Alcune situazioni erano effettivamente devastanti.È partita un'attività coordinata dalle prefetture che ci ha coinvolto, come prevedeva la normativa, in materia di controlli sulla sicurezza sul lavoro. In questo ambito abbiamo eseguito circa 4000 controlli, in modo mirato, ma abbiamo trovato situazioni anche d’eccellenza come un'impresa metalmeccanica col tappeto girevole impregnato di disinfettante che arrivava al lavoratore ogni volta ci passasse sopra con le scarpe”. 

 

Col virus la sicurezza nel mondo del lavoro non è più una questione del singolo lavoratore ma diventa centrale per la società o sbaglio?

“Si perché da quella sicurezza non solo dipende la salute del lavoratore ma anche quella dell'indotto costituito da rifornitori, trasportatori e da tutta una serie di figure che fanno parte del circuito della distribuzione, per non dimenticare la famiglia di quel lavoratore e di tutti i soggetti connessi”.

 

 

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