Cronache
Il business delle mascherine dalla Cina
Nella provincia cinese orientale dello Zhejiang, un produttore di calze ha percepito una grande opportunità a febbraio, quando il paese era alle prese con lo scoppio dell'epidemia di coronavirus. L'imprenditore decise di dedicarsi alla realizzazione di maschere mediche, ma quando provò ad acquistare i macchinari scoprì di non essere solo. "C'erano già troppi acquirenti", ha detto secondo quanto riportato dal giornale China daily. “Così abbiamo finito per acquistare una macchina progettata per produrre altri articoli anziché maschere. Dovevano modificarlo in una maschera. Quindi abbiamo aspettato circa un mese prima che arrivasse finalmente a fine marzo. Con una sola macchina ora, la nostra azienda può produrre solo 40.000 a 50.000 maschere al giorno. Ma ho paura di investire di più perché il mercato ora è così caotico ”. La produzione di maschere è un'industria in forte espansione in Cina, poiché i paesi di tutto il mondo si affrettano a procurarsi forniture di dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari che trattano il crescente numero di pazienti affetti da coronavirus. Inoltre, l'Organizzazione mondiale della sanità dopo un prima fase in cui era incerto sull’utilizzo o meno delle mascherine, adesso, ( secondo i maligni spinto proprio dal governo di Pechino) ora supporta iniziative dei vari governi che richiedono o incoraggiano il pubblico a indossare mascherine e ad utilizzarle anche dopo che la fase acuta della epidemia sarà alle spalle. La Cina è ora il più grande produttore ed esportatore al mondo di maschere per usi medici, antinquinamento e di protezione industriale, con circa 20.000 produttori e distributori che insieme rappresentano circa la metà della produzione totale mondiale, secondo il Forward Industry Research Institute di Shenzhen, un'importante società di consulenza di ricerca di mercato cinese. È un affare redditizio. Il portavoce del Partito Comunista People's Daily ha citato un attore del settore affermando che una tonnellata di materiale filtrante non tessuto noto come tessuto soffiato a fusione, può produrre un milione di maschere chirurgiche. Se il tessuto potesse essere acquistato per circa 20.000 yuan (US $ 2.840) per tonnellata, ogni maschera costerebbe solo 0,2 yuan di materiale. Anche dopo il lavoro e la logistica, ci sarebbero ancora buoni profitti da fare, con le maschere che si vendono per 4 yuan a Pechino o 3 yuan a Shanghai, secondo lo stesso rapporto. Di conseguenza, le aziende che altrimenti avrebbero realizzato bende, tessuti e persino illuminazione, hanno ripristinato fabbriche e attrezzature per realizzare maschere. Ma il diluvio di nuovi operatori che si sono gettati nel nuovo redditizio settore per soddisfare questa domanda ha sollevato più di qualche preoccupazioni sulla qualità e sulla conformità di detti dispositivi. Secondo un prima analisi sui produttori risulterebbe che oltre il 60% degli stessi non sarebbero certificati per l'esportazione nell'Unione Europea o negli Stati Uniti. A Jiaxing, il produttore di calze riconvertitosi in produttore di mascherine mediche ha affermato che la sua azienda potrebbe soddisfare gli standard KN95, uno standard cinese vicino all'N95, progettato per filtrare il 95% delle particelle sospese nell'aria. Le maschere N95 sono consigliate agli operatori sanitari per proteggere da Sars-CoV-2, il coronavirus che causa la malattia Covid-19. Il KN95, lo standard cinese, filtra anche il 95% delle particelle sospese nell'aria, ma non è classificato come di livello medico e la loro produzione non è richiesta per soddisfare le normative di produzione dei dispositivi medici. L'imprenditore ha affermato di aver scelto di realizzare maschere KN95 di livello non medico poiché i requisiti della “camera bianca” erano meno rigorosi.
Le maschere di livello medico devono essere realizzate in un ambiente privo di polvere e batteri che soddisfi uno standard specifico per camera bianca noto come classe 100.000, mentre i DPI KN95 non chirurgici possono essere realizzati in una camera bianca di livello inferiore, secondo l'Amministrazione statale per l'industria e commercio. Le maschere KN95 però potrebbero anche non proteggere dalle goccioline sparse nell’aria, uno dei veicoli attraverso cui viene trasmesso il coronavirus, secondo una guida della China Association of Medical Equipment. La Cina ha affermato che la ragione alla base della confusione sulla distinzione tra N95 e KN95 è alla base del ritiro di 600000 mascherine dall’ Olanda lo scorso mese.. Il ministero della salute olandese ha affermato che non si adattavano bene e che i filtri non funzionavano correttamente dopo il feedback degli operatori ospedalieri, che avevano indossato queste maschere. La portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying ha dichiarato che il produttore cinese che ha esportato le maschere ha detto all'agente di approvvigionamento olandese prima di spedire che il prodotto era definito "maschere non chirurgiche". Ma non ha spiegato perché l'adattamento e i filtri non funzionavano correttamente come avrebbe dovuto essere richiesto dallo standard di qualità cinese, anche se non era di livello medico. Questo perchè la Cina, secondo quanto riporta in un lungo reportage il Financial Times della fine di Marzo, sfrutterebbe alcune scappatoie, permesse della legislazioni europea e americana in materia. Negli Usa, infatti, non bisogna dichiarare che il materiale ha un uso “medico” o “chirurgico”, ma esclusivamente che è per la protezione personale: allora il tempo per il permesso si riduce a 10 giorni. In Europa «le norme Ue permettono di inserire gli equipaggiamenti medici in due distinti quadri legali. Le attrezzature per la protezione personale, che includono maschere facciali usa e getta o riutilizzabili che garantiscono la protezione da rischi di particolato richiedono la certificazione di una parte terza. Invece i prodotti come le mascherine chirurgiche rientrano nella direttiva sulle attrezzature mediche, che permette l’autocertificazione». Se si fanno passare le mascherine protettive per mascherine chirurgiche, il gioco è fatto. “Prendiamo ad esempio l'anno scorso, abbiamo studiato 87 agenti di certificazione che hanno violato le normative, che erano il 15% del totale e cinque sono stati privati delle loro licenze per operare". Ha affermato al China Daily la portavoce del ministero del commercio cinese. Ma considerando come questa prassi porti comunque interessi alle aziende cinesi sono molti i dubbi che circondano questo tipo di controlli, che secondo alcuni sarebbero solo di facciata. I motivi principali dell'accreditamento fraudolento sono i costi e i tempi necessari. Ad esempio, un audit di produzione per ottenere un marchio CE per i dispositivi medici costa almeno € 70.000 (US $ 76.500) e richiede da cinque a otto mesi, secondo la società di certificazione multinazionale SGS. Costi e tempi troppo lunghi per chi come la Cina produce circa 160 milioni di mascherine al giorno. E il business in Cina, sopratutto in una fase cosi delicata, non può certo subire ulteriori intoppi burocratici.