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Cronache
Più musica italiana nelle radio. Ma serve? L’esperto risponde
 

La Lega propone l’idea di una quota minima di musica italiana da passare in radio, tempo fa lo ha fatto il Pd. Ma può servire? 

La proposta di Alessandro Morelli della Lega è poi che di questo 33% di musica italiana “il 10% sia dedicato ai giovani autori e alle piccole case discografiche".

Ne abbiamo parlato con Oderso Rubini, produttore discografico della Bologna rock degli anni ‘80, della new wave e del punk rock italiano che ha avuto nel suo carnet Johnson Righeira, gli Skiantos, i Confusional Quartet o i Gaznevada.

 

“Ahimè non serve a niente. La situazione è molto, molto più complicata”.

 

Questa cosa l’hanno fatto in Francia...

“Conosci il nome di qualche artista francese che è emerso in questi anni? (ride)”

 

No.

“Ho paura che serva a raccontare che si fanno dei tentativi ma non aiuterà a vendere più musica italiana. La musica si vende se è bella e fatta bene, se è emotivamente forte. Ma di roba emotivamente forte ce ne è davvero poca o niente in giro, non solo in Italia”.

 

Come è cambiato il mercato?

“Rispetto al passato di musica se ne consuma di più ma in modo superficiale. La maggior parte della musica è una sottofondo. Non è più una materia di formazione culturale. In Italia si va ancora a vedere i concerti dei grandi artisti ma sono quelli del passato. I giovani sono pochissimi. Oggi fare musica è davvero dura. E poi gli eventi musicali emotivamente forti si contano sulle dita di una mano. Nella nostra società la gente capace si occupa tendenzialmente di altro, non di musica.”.

 

Ma se non c’è un mercato come fanno a crescere nuove leve? Far passare più musica italiana in radio non servirebbe nel piccolo a...

“La musica è lo specchio della società in cui si vive. La nostra è una società molto più edonistica e superficiale, quindi di conseguenza abbiamo questo che vede. Una volta c’era il rito del disco da acquistare, era un evento, c’era il momento dell’ascolto. Ora è tutto molto breve e distratto. E poi parliamo di numeri talmente ridicoli che non si muove niente. Ci sono gli spettacoli del vivo ma tutto tende verso la smitizzazione dell’artista che sarà sempre meno tale. Di musica ce ne sarà sempre tanta ma sarà legata ad un tipo di fruizione legata all’entertainment fine a se stesso. Si perderà sempre più l’idea dell’artista mito. La musica arriva tramite i social, i serial, i video giochi, il computer, i film. Ma è una materia di sottofondo.”

 

Ho ascoltato i Sanremo di questi ultimi anni e la qualità della musica è davvero scadente. Non c’è più un sistema della musica, con autori di alto livello. Non ricordi più neanche il ritornello di una canzone, anche se sciocco. 20-30 anni fa non era così. Ed è Sanremo, non stiamo parlando di Jimi Hendrix…

“Non ne ricordo uno neanche io. Zero. Lo stesso è quello che passa in radio. Perché non c’è mercato. Vivere di musica oggi è impossibile, se non sei già famoso. Oppure ti fai un talent che ti stronca la carriera (ride). La canzone o la canzonetta non esprimono più molta emotività. In compenso (ride più forte) a Sanremo quest’anno anche gli sketch erano terrificanti, di basso livello”.

 

E cosa si può fare per ricreare un sistema della musica, creare un indotto forte con più gente che ci lavori…?

“Temo nulla. L’industria musicale è sempre meno capace di attirare talenti veri. Quelli che hanno talento vero vanno a fare altro. Pensi a quanto è tutto distorto. I grandi network, per trasmettere il tuo brano in radio, si fanno dare un quota delle edizioni musicali per rientrarci economicamente. Trasmettono quello di cui hanno una quota economica, bella o brutta che sia la tua musica. Se fai una cosa bella e non paghi non esisti. Per un baldo giovane che vuole fare questo lavoro è durissima. Molto più che in passato”.

 

Ci vorrebbe un’esplosione punk… o dei singoli che...

“E’ cambiata proprio la funzione. Anche in questi ultimi decenni ci sono stati dei movimenti sociali forti o legati al cambiamento: nel passato avveniva contemporaneamente un’esplosione di un genere musicale in grado di raccontare quelle istanze. Oggi non accade più. Non c’è neanche più quel legame lì. Le istanze oggi escono tramite i social. Oggi oltre il rap che è già un genere stravecchio e la trap è successo qualcosa? Nulla. Ci saranno sempre più fenomeni molto brevi che esploderanno e scompariranno. Non sarà più come è stato fino a 30 anni fa. Bisognerà provare ad inventare qualcosa di diverso. Chi avrà la forza di provare altre strade forse vincerà”.

 

Quali sono i guai peggiori del mercato?

“Gli autori non vengono più fuori perché non c’è proprio più mercato. E accade perché il pubblico è distratto da altre sollecitazioni, i social media, le nuove tecnologie,… .

Quasi tutto suona allo stesso modo con gli artifici tecnici della compressione dei suoni. La musica che si fa oggi passa tanto attraverso l’elettronica che ha favorito una produzione musicale generalmente fredda. Anche per questo è molto più difficile individuare un autore, un gruppo. E’ tutto molto massificato e omogeneo. I brani suonano più o meno tutti uguali. E’ troppo forte il peso del entertainment e del denaro.

 

Forse è solo una fase evolutiva?

“Sicuramente emergerà qualcosa di nuovo e forte. Ma bisogna inventare”.

 

Come fece Kurt Cobain, il ragazzino povero arrivato da una zona sperduta che senza l’aiuto e i capitali di famiglia è riuscito a provocare un’esplosione emotiva nella gioventù mondiale?

“Si, ma da quel tempo sono passati 30 anni. E’ cambiato il mondo. Non ci resta che inventare qualcosa di originale o aspettare che qualcuno lo faccia”.

 

 

 


 

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