Rai, ferie forzate per chi promuove il referendum? L’azienda: “Norme non nuove, nessun vincolo per i dipendenti” - Affaritaliani.it

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Rai, ferie forzate per chi promuove il referendum? L’azienda: “Norme non nuove, nessun vincolo per i dipendenti”

La Rai precisa: "Nessuno viene obbligato a collocarsi in ferie/permesso o a sospendere il contratto, non essendoci alcuna disposizione normativa che preveda detti obblighi"

di Redazione News

Rai, ferie e referendum 

La Rai, con una comunicazione interna, ha "discriminato" lavoratori e collaboratori impegnati politicamente, anche nella promozione dei referendum, rispetto "agli altri" che "non esprimono opinioni o non agiscono attivamente nel loro privato extra lavorativo". Lo ha stabilito il Tribunale di Busto Arsizio (Varese) che ha confermato, con provvedimento depositato oggi, un decreto cautelare per profili discriminatori relativi a una circolare della Direzione generale Rai che ha "imposto a una ampia cerchia di dipendenti e a collaboratori" un "obbligo di astensione dal lavoro mediante la fruizione di ferie e di aspettativa non retribuita" nei periodi elettorali, nel caso abbiano "presentato candidature ovvero aderiscono a partiti politici". Oppure siano "attivisti sindacali" o "si riconoscono e fanno parte di partiti, movimenti, associazioni non profit, comitati referendari". 

La Rai sottolinea però che "tali norme, nate per tutelare l'imparzialità e l'obiettività del servizio pubblico, erano già contenute nelle circolari del 2018, 2020 e 2022 su consultazioni elettorali e referendum", e che "nessuno viene obbligato a collocarsi in ferie/permesso o a sospendere il contratto, non essendoci alcuna disposizione normativa che preveda detti obblighi". 

Differente la lettura del Tribunale che lo ritiene "un obbligo". Il procedimento è stato avviato su impulso dei legali Matilde Bidetti e Carlo de Marchis, per conto dell’Associazione nazionale lotta alle discriminazioni (Anlod), con il supporto del Sindacato lavoratori della comunicazione della Cgil, e proseguirà "nel merito" con udienza il 16 luglio

Nella circolare, spiega la giudice Franca Molinari della sezione Lavoro, viene "correttamente richiamata l'attenzione di tutti i dipendenti e collaboratori sulla necessità" del rispetto "delle vigenti norme di legge in materia di propaganda e informazione elettorale". Ma secondo la giudice si va "ben oltre", imponendo "a una ampia cerchia di dipendenti e ai collaboratori un obbligo di astensione dal lavoro". Delle disposizioni "sono destinatari moltissimi lavoratori e collaboratori la cui apparizione, in virtù della mansione svolta", come "cameraman, fonici, tecnici delle luci, costumisti, scenografi, direttori della fotografia, ballerini", è "limitata all'indicazione del loro nome nei titoli di coda". 

La "comunicazione – si legge- estende il divieto a qualunque prestazione audio video resa da lavoratori e collaboratori, anche se non richiedono neppure una loro messa in onda", e prevede che i nomi non potranno essere indicati "come responsabili, autori o collaboratori" delle trasmissioni. È il giudice, però, a richiamare il diritto di questi lavoratori "a partecipare attivamente alla vita sociale del Paese durante la campagna referendaria e politica" e "la libertà di esprimere legittimamente le proprie opinioni politico-sindacali", di "associarsi, manifestare e agire democraticamente senza subire discriminazioni o penalizzazioni". 

Una circolare del genere, afferma il Tribunale, estesa "a tutti i dipendenti e collaboratori, a prescindere dal fatto che essi abbiano una diretta esposizione in video o in audio oppure che siano impegnati in programmi di informazione, intrattenimento e di altra natura", va "oltre il limite utile alla tutela della indipendenza e imparzialità del servizio pubblico e non giustifica, pertanto, la compromissione dei diritti dei lavoratori". E' giustificata, conclude la giudice, "l'imposizione all'interno dell'ambiente di lavoro di un obbligo di astensione da azioni o comportamenti che esprimano un oggettivo significato politico". Non è, invece, "utile né necessaria l'inibizione dell'attività lavorativa o l'imposizione di un oblio nei confronti di lavoratori" che "in altri ambiti e contesti agiscono coerentemente con il loro legittimo pensiero".

 

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