Terrorismo, Guido Salvini: "Ecco come combattere i fondamentalisti" - Affaritaliani.it

Cronache

Terrorismo, Guido Salvini: "Ecco come combattere i fondamentalisti"

di Lorenzo Lamperti
twitter11@LorenzoLamperti

Guido Salvini, magistrato che nella sua carriera si è occupato a più riprese del terrorismo interno in Italia, analizza su Affaritaliani.it il significato degli attacchi a Parigi e parla degli strumenti giudiziari utili a limitare i rischi.

Che impressione ha  tratto dalle immagini degli attentati di Parigi?

Che non siamo di fronte ad attentati come li abbiamo sempre conosciuti. L’immagine di Parigi è quella di un bombardamento su obiettivi civili da parte di un Paese nemico come nei peggiori episodi delle guerre ordinarie, con la sola differenza che non sono stati usati aerei ma aspiranti martiri. L’unico evento paragonabile è stata l’azione nel 2008 in India a Bombay dove un gruppo di jihadisti, con dieci azioni simultanee, tenne sotto scacco la città per tre giorni, uccidendo più civili possibile e lasciando alle sue spalle 200 vittime.

Ciò per lei significa che non è più terrorismo ma è guerra?

La parola terrorismo si usa per comodità solo perché presente nei codici e nelle Convenzioni internazionali ma non fotografa più la realtà. Quello di Al Qaeda era ancora terrorismo perché colpiva senza avere un suo  Stato alle spalle ma solo “santuari” e rifugi.  Oggi c’è lo Stato Islamico. E’ uno Stato di certo non riconosciuto ma che soddisfa i requisiti del diritto internazionale per essere considerato uno Stato: un governo, un popolo, un territorio. Oggi la guerra non si dichiara più mandando un ambasciatore con una lettera di formale dichiarazione di apertura delle ostilità, quella che è mancata nel 1941 a Perl Harbour, ma è una situazione di fatto che si è pienamente realizzata con la formazione dello Stato Islamico che controlla quasi metà della Siria e parte dell’Irak. Con i fatti e con i suoi proclami ha dichiarato guerra, per quanto possa essere velleitario, praticamente a tutto il resto del mondo: i paesi Occidentali e ogni suo singolo cittadino, lo abbiamo visto anche  a Parigi, i governi del Medio Oriente, i loro cittadini sciiti, e tutti coloro che sono considerati infedeli che appartengano a minoranze come gli Yazidi oppure a religioni non del “Libro” come gli induisti, oltre naturalmente guerra  a Israele e a tutti gli ebrei in quanto tali.

Combattenti nemici quindi?

Sì, tanto è vero che, volendo, si potrebbe applicare ad un cittadino italiano che andasse a combattere per l’Isis l’art. 242 del Codice Penale che punisce, tra l’altro con l’ergastolo, il cittadino che porta le armi contro il suo  Stato  o presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra con lo Stato italiano.

E ciò secondo lei che conseguenze ha? Bastano ancora gli strumenti giudiziari?

La risposta, politica, militare, culturale, qualsiasi essa sia purchè chiara e non dettata da rivalità politiche, deve venire dai governi e  dai parlamenti. L’autorità giudiziaria può fare la sua parte ma in nessun modo, nemmeno in Italia, può garantire un rischio zero in presenza di decine di migliaia di obiettivi possibili. Quello che può essere essenziale, per ridurre i rischi, è anche che autorità giudiziaria e Servizi di informazione, l’intelligence, decisiva in questo campo, trovino, superando antiche diffidenze, qualche momento di contato e di coordinamento. Detto questo l’Italia ha una legislazione tutt’altro che disprezzabile  e le indagini hanno numerosi strumenti da utilizzare: dalla recente  punibilità degli arruolati, di chi si addestra da solo anche su Internet e dei foreign fighters alle intercettazioni preventive anche informatiche, talvolta inutilmente guardate con sospetto. E ancora le operazioni sotto copertura e le perquisizioni per blocchi di edifici introdotte addirittura nel 1979 ai tempi del terrorismo interno, risultate  poco utili allora ma forse più utili oggi. Ma, lo ripeto, indagini e processi possono essere, con un po’ di fortuna, uno strumento di contenimento, non la soluzione. E’ un nemico troppo sfuggente. In confronto le Brigate Rosse, con le loro  basi e i loro volantini e i loro pentiti erano molto più facili da scoprire.  

Che cosa ne pensa della scelta degli obiettivi a Parigi?

Le azioni avvenute a Parigi hanno una valenza ideologico- religiosa molto superiore alle altre grandi azioni avvenute in Europa, a  Londra e a Madrid nel 2004-2005. Non sono stati colpiti obiettivi affollati ma comunque “neutri” come stazioni ferroviarie o del metrò. Sono stati scelti teatri, la  musica e il teatro sono vietati dalla cultura mussulmana, uno stadio,  anche lo sport è praticamente precluso, ristoranti e altri luoghi di svago. Luoghi cioè additati dall’islamismo radicale come fonti di perdizione e di idolatria in perfetta coincidenza con quel progetto di “desertificazione” di ogni vita sociale che si è realizzato nei territori che controllano. In questo senso sono azioni “educative”. Comunicano che anche in Europa non si potrà più vivere come abbiamo sempre vissuto, che l’unica attività sociale consentita sarà quella  religiosa e nient’altro.  

Che cosa direbbe ai musulmani cosiddetti moderati?

Direi loro che dissociarsi pubblicamente, anche nelle moschee, da simili eccidi è necessario ma non sufficiente. E’ solo la precondizione per  una domanda che porrei a tutti loro e  in qualsiasi occasione, in modo diretto e senza ipocrisie: perché il mondo mussulmano è impazzito? Come pensate di affrontare questa infezione che viene da dentro di voi ? Con la speranza di suscitare una riflessione al loro interno e ricevere una risposta che non segua la facile scorciatoia di dar sempre la colpa dell’infezione a qualcun altro