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Culture
Cerami, quasi dimenticato l'artista che insegnò a sorridere delle disgrazie
Dal lampo di genio del carrarmato de "La vita è bella" alla lettura dei tempi almeno trenta anni prima degli altri: Affari Italiani rende omaggio al grande scrittore e allievo di Pier Paolo Pasolini, andrebbe riletto e studiato nelle scuole e invece non ne parla (quasi) più nessuno. Eppure è scomparso meno di quattro anni fa. Dal suo romanzo "Un borghese piccolo piccolo" il film capolavoro del regista Mario Monicelli: a tutti sembrò un'Arancia Meccanica all'amatriciana, invece raccontava le frustrazioni degli italiani
 
 
Di Davide Grittani
 
 
Il RETROSCENA - In alcune occasioni Roberto Benigni ha pubblicamente ammesso che, a un certo punto delle sedute durante cui s'allestiva la sceneggiatura de "La vita è bella", a tutti apparve chiaro che all'ingranaggio del film mancasse qualcosa. Una svolta, una trovata, un lampo che trasformasse un capolavoro in un'opera indimenticabile. Sentivano tutti che il materiale umano a disposizione fosse straordinario - ovvero il racconto di Romeo Rubino Salmonì, l'uomo che tentò di battere l'orrore dei campi di sterminio con l'ironia e la cui storia personale è alla base del film - ma che nonostante ciò mancasse ancora qualcosa, un traguardo infantile (e proprio per questo epico) che rendesse la storia di Giosuè (il bambino del film) veramente incredibile. Chi è bene informato racconta che fu allora che il co-autore di soggetto e sceneggiatura tirò fuori dal cilindro la storia del mille punti. Il traguardo del carrarmato, "quello vero" parafrasando lo stupore di Giosuè. A quella folgorazione si deve il fatto che il piccolo potesse tornare a casa solo se al termine del terribile gioco nel campo avesse totalizzato mille punti, inconsapevole agonista di una competizione in cui in ballo c'era la sopravvivenza. Artefice di quello spunto semplice e geniale fu Vincenzo Cerami. Non sono molti quelli che lo sanno, in realtà non sono molti quelli a cui importa, ma se "La vita è bella" (Premio Oscar 1999 come miglior film straniero, migliore attore protagonista e miglior colonna sonora composta da Nicola Piovani) è diventato il capolavoro senza tempo che universalmente tutti riconoscono è (forse) soprattutto per l'introduzione di quel carrarmato. Di quei mille punti. Di quella folgorazione. Di Vincenzo Cerami.
 
TRENT'ANNI AVANTI NEL TEMPO - Perché riportare alla memoria proprio questo retroscena per ricordare Cerami? Con tutto ciò che ha fatto, scritto, diretto, perché proprio quell'episodio? Perché quell'episodio - abbastanza paradossalmente - fotografa meglio di qualsiasi altra cosa il cono di oscurità in cui è stato relegato uno dei più grandi personaggi della cultura italiana degli ultimi quarant'anni. E come mai questo sia avvenuto, soprattutto tra le pagine dei giornali a cui proprio Cerami aveva dato prestigio e attendibilità attraverso i suoi interventi, non se lo spiega nessuno. O meglio, si tratta di un atteggiamento che pare perfettamente in linea con le scelte al ribasso compiute dalle Terze Pagine (e dove sono più?) dei maggiori giornali italiani. Cerami è stato dimenticato con una fretta e una ferocia che non solo non trovano giustificazione, ma che rappresentano un danno enorme per la cultura italiana: segnatamente per cinema e letteratura di questo Paese. Andrebbe studiata nelle scuole, la sua capacità di predire il tempo e leggerlo con almeno trent'anni di anticipo andrebbe affrontata in dibattiti e saggi e invece - nonostante sia morto meno di quattro anni fa - di Cerami non si occupa più nessuno. Dell'utlimo grande Oscar di questo Paese in disarmo, non interessa più a nessuno. Nonostante la gioia universale che ha saputo distribuire, nonostante la sua più grande dote fosse quella di risucire a ridere delle disgrazie e delle tragedie, canzonarle come merita di essere canzonata la vita se (davvero) vuoi sopravviverle. 

QUASI UNA PROFEZIA - Perfettamente conscio di quello che gli sarebbe successo, era proprio Cerami a schivare domande e citazioni che facessero - continuamente - riferimento a "La vita è bella", come a richiamare l'attenzione (con quella leggerezza innata a cui faceva ricorso in modo così autentico) su una produzione più ampia e complessa. Di straordinario valore artistico. Da "Un borghese piccolo piccolo" (primo romanzo italiano degli anni Settanta ad essere tradotto in afrikaans, dall'editore Tafelberb di Città del Capo nel 1979) a "Consigli per un giovane scrittore" (ancora oggi ritenuta una Bibbia laica per chi intende intraprendere il durissimo cammino della scrittura), Cerami ha scandito i temi e i tempi della società italiana, trattandoli con un disincanto di cui solo lui era capace. Come quando nella sceneggiatura di "Tutta colpa del Paradiso" (film di e con Francesco Nuti, 1985) mise mano a un dibattito molto sentito in quegli anni in Italia: l'adozione, la vocazione vera o presunta dei genitori che si propongono come tali al cospetto della mancata vocazione dei genitori biologici. Trent'anni prima che divenisse disquisizione utile a seppellire i dibatti delle televisioni e dei giornali, Cerami aveva capito che anche un tema così conflittuale andava raccontato con leggerezza, con ironica precisione e con quella amarezza di fondo riconoscibile in quasi tutte le cose che ci ha lasciato. E' stato anche Ministro della Cultura nel governo ombra dell'Ulivo - durante il quarto governo Berlusconi - dalla metà del 2008 all'inizio del 2009, probabilmente anche lui deluso da quell'esperienza culturale e politica che sostanzialmente non ha portato da nessuna parte (avesse vissuto questa stagione della sinistra, chissà come l'avrebbe giudicata dall'alto della sua statuaria ironia). Poi la lunga malattia, il rifugio nella città che l'ha praticamente adottato: Spoleto. E' stato un allievo nel senso stretto del termine di Pier Paolo Pasolini, a lui deve la grande passione per le parole e per il pensiero, per il cinema e per la finzione. Con lui condivide una data, quella del 2 novembre: giorno in cui Pier Paolo Pasolini fu ucciso (1975) e lui invece nacque (1940). Con lui condivide una donna, l'amatissima Graziella Chiarcossi: cugina di Pier Paolo e moglie della "sua vita migliore" come amava raccontare Vincenzo. 
 
L'OBLIO DI UN MAESTRO - Chi l'ha conosciuto - a chi scrive è stato concesso questo privilegio - ricorda di un omone rugbista mancato a causa di un infortunio, ricorda di un umorista inconsapevole quando parlava di Zdenek Zeman ("un vero poeta... "), di un letterato severisismo quando discuteva della nuova narrativa italiana ("quella che si scrive nei talk show ... "), di un uomo naturalmente generoso quando si trovava ad aiutare scrittori e registi che gli chiedevano consigli e non solo ("lo Stato avrebbe dovuto incentivare me per quanti ne ho aiutati, invece sostiene le scuole di scrittura in cui, se lo sai fare, disimpari a scrivere... "). La traduzione cinematografica di "Un borghese piccolo piccolo" del grande Mario Monicelli (1977), interpretata da un sontuoso Alberto Sordi, sembrò agli intellettuali di certa sinistra radicale una specie di Arancia Meccanica de no' antri, una versione all'amatriciana della violenza come rivalsa sociale sulle ingiustizie della vita. E invece Vincenzo Cerami aveva letto con grandissimo anticipo la frustrazione degli italiani, quel malessere che avrebbe dominato la cronaca degli anni Ottanta e Novanta, fino alla assuefazione del Duemila, fino al paradosso del fatto che quegli episodi non fanno più notizia ai giorni nostri. Questo è stato Cerami, l'autore al quale si devono "L'amore delle tre melarance" (1985) e "La sindrome di Tourette" (2005), l'intellettuale che aveva previsto che la società italiana avrebbe scomodato il ricordo di Pier Paolo Pasolini "a strappi, a seconda degli utilizzi e delle stagioni, come si fa coi plaid quando è mezza primavera e mezzo autunno... " (da una intervista a l'Espresso) e che aveva intuito che la stessa sorte sarebbe toccata a lui: "mi piacerebbe che si parlasse di me per quello che ho fatto, se qualcosa di buono ho fatto, non soltanto per La vita è bella di cui vado fiero ma che rappresenta una parte di un cammino che adesso sento lungo e faticoso... " (da un'intervista al Corriere della sera). Ma per Cerami siamo ancora in tempo, e la proposta di leggerlo e adottarlo nelle scuole di oggi per formare gli uomini e le donne di domani, andrebbe accolta senza esitazione per due ragioni: per la qualità letteraria del suo testamento artistico, per la grande lezione della sua ironia. In un mondo in cui tutti si prendono troppo sul serio, lui sapeva sorridere delle disgrazie ma mai davanti alle telecamere.
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