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Culture
"Che palle 'sti stereotipi": il libro che racconta le "parole di seconda mano"

"Che palle 'sti stereotipi": il libro che racconta le storture del nostro linguaggio

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"Le parole che utilizziamo hanno una storia, una lunga storia, all'interno della quale a volte si nascondono degli stereotipi, degli schemi di pensiero a cui non facciamo caso e che non ci appartengono neanche". Lo sa bene Laura Nacci, linguista, studiosa e docente di temi legati alla gender equality in ambito professionale, che sul rapporto perverso tra parole e stereotipi ha scritto un libro, "Che palle 'sti stereotipi - 25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita" (Fabbri editori, 336 pagine, 18 euro). Insieme a lei Marta Pettolino Valfrè,  giornalista, docente universitaria ed esperta di comunicazione e di linguistica cognitiva. Lo spunto è una società in cui la "mascolinizzazione" di termini e concetti rimane fortissima. Tanto che non è infrequente sentir dire "quella donna ha le palle" senza che questo faccia ridere per l'evidente utopia fisica. 

"I nostri pensieri sono fatti di parole e anche le nostre azioni lo sono. Cambiare il modo di parlare vuol dire creare mondi nuovi nella nostra mente. Parlare bene vuol dire agire bene, senza discriminare. A livello sociale se perseguiremo a parlare per stereotipi continueremo ad assistere a disparità, ingiustizie e violenza. Perché dobbiamo cambiare la cultura dei ruoli su cui sono basati gli stereotipi. A livello mentale e personale è altrettanto pericoloso perché non saremo libere e crederemo di avere sbagliato qualcosa per sentirci diverse da come ci è stato raccontato che dovremmo essere" ci racconta Marta Pettolino Valfrè.

Le parole che usiamo non servono solo a descrivere la realtà ma influenzano inconsapevolmente anche i nostri pensieri e determinano quindi i nostri comportamenti. Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente. E non esistono cose più  urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio ironico e al contempo molto serio ci porta, attraverso venticinque modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno di una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole “di seconda mano”, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo.

"Spesso, infatti, parliamo con il "pilota automatico inserito", facciamo battute o complimenti senza scegliere con cognizione di causa i vocaboli, i modi di dire, rischiando così di perpetuare e rafforzare pregiudizi di genere. Alleniamoci a riconoscere le "parole di seconda mano" e a utilizzarne altre, che si adattano di più alla nostra visione del mondo" conclude Laura Nacci.
 

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