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Culture
Ecco perché Mussolini era un europeista
Benito Mussolini

Mussolini europeista — È interessante che, l’ultima volta che è sorta la questione di difendere l’unità europea, la scarpa era ideologicamente sull’altro piede. Conforta, forse, che in entrambi i casi i “nemici esterni” erano e sono gli anglo-americani da una parte e i russi dall’altra—un segno che le mode politiche cambiano ma non le regole geopolitiche sottostanti.

Con l’arrivo dell’epoca moderna la politica parlata e “filosofeggiata” diventa più labile, più astratta. Gli elementi di fondo invece, quelli che regolano i rapporti tra i paesi sovrani, sono più lenti a evolvere. Così, da un’ideologia all’altra, una Russia “imperiale” cerca sempre lo sbocco sul mare caldo, l’Italia dedica un’altrimenti inspiegabile attenzione speciale ai rapporti con l’Albania per poter governare l’accesso all’Adriatico, la Germania si pone sempre come “paese guida” dell’Europa continentale e non distoglie mai l’attenzione dal Lebensraum all’est, come l’Iran non dimentica mai di essere la Persia o la Cina, la Cina.

Sono imperativi comportamentali che nascono dalla geografia per diventare anche elementi delle culture nazionali. Il paneuropeismo risente tuttora dei secoli precedenti all’ordine geopolitico attuale. Cambia forma, “colore” e vocabolario. Recepisce solo lentamente i “macrocambiamenti”: l’emergere sulla scacchiera mondiale dell’America del Nord, la finanziarizzazione delle economie, le tecnologie dei trasporti e delle comunicazioni, la modernizzazione della Russia o della Cina, la scomparsa delle nazioni dinastiche dell’Europa che fu.

L’europeismo fascista—che emerge più sinteticamente in una citazione di Mussolini nel film Camicia nera, girato nel 1933 per il decennale della Marcia su Roma: “O si realizza l’unità europea sul terreno della ricostruzione economica o la civiltà europea è condannata a spegnersi”—era un elemento costante nella propaganda del Ventennio. È tuttora, essenzialmente negli stessi termini, un grande tema della pubblicistica politica, per quanto oggi proveniente dal filone socialdemocratico e non più dalla destra. Era, com’è ora in non poca parte, una comprensibile reazione all’ “eccessivo” successo economico e politico dei paesi che allora si definivano le plutodemocrazie.

Faceva a pugni con l’altro grande tema dell’epoca mussoliniana, il nazionalismo (italiano), ma finché si pensasse di uscirne con un ruolo di comando, ci poteva anche stare. Andò male però… Infatti, era già andato male quando apparve nel 1944 il manifesto promettendo una terribile vendetta sugli affossatori del sogno che accompagna la Nota di oggi. Era del bravissimo—e fascistissimo—cartellonista pubblicitario Gino Boccasile (1901-1952). Da civile, inventò le assai note—e per l’epoca molto sexy —“Signorine Grandi Firme” per la testata dello stesso nome diretta da Cesare Zavattini. Arruolatosi poi nelle SS italiane con il grado di Tenente sotto la Repubblica di Salò, passò a temi più grevi.

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