Il teatro è energia a Lardarello, capitale mondiale della geotermia
Il teatro è energia. Dalla valle del Diavolo per riscoprire un territorio affascinante e la sua gente. Intervista al drammaturgo Marco Pasquinucci
Di Oriana Maerini
Occhi che sorridono e trasmettono l’ottimismo e la fierezza di un intellettuale che ama lavorare e valorizzare la gente del suo territorio: Marco Pasquinucci, regista toscano direttore artistico della compagnia “Officine Papage”, racconta con enfasi la genesi de “La valle del diavolo” lo spettacolo presentato in prima nazionale ieri sera a Lardarello, capitale mondiale dell’energia geotermica, un posto unico al mondo, con una storia incredibile. “La Valle del Diavolo", chiamata così proprio per la presenza dei soffioni boraciferi, emissioni di vapore molto intense che erano famosi già all’epoca Dante Alighieri il quale si ispirò proprio a questo paesaggio per descrivere l’Inferno nella "Divina Commedia". L’opera teatrale, nata da un’idea di Pasquinucci, ripercorre la storia dello sfruttamento energetico della Val di Cecina, a partire dall’intervento del francese François Jacques de Larderel, che intorno al 1827 perfezionò l'estrazione dell'acido borico dai fanghi dei cosiddetti "lagoni", già iniziata con metodi poco efficienti nel 1818 e si rivelò un Adriano Olivetti ante litteram, trasformando la sua azienda in un'isola industriale felice e realizzando un esempio di capitalismo sostenibile, fino agli ultimi cinquant’anni. Il monologo interpretato da una bravissima Silvia Elena Montagnini, anche autrice del testo, ha emozionato e commosso il pubblico accalcato nel piazzale della Chiesa del famoso architetto Giovanni Michelucci che, grazie al lavoro di videomapping di Simona Gallo, è diventata parte integrante della drammaturgia di questo lavoro.
Com’è nata l’idea?
Volevo concepire una narrazione per la città che ha vissuto attraverso la carne e la terra queste storie. Volevo far uscire i vapori della terra, gli umori e le storie delle memorie della gente per raccontare un pezzo di storia economica e sociale di questa regione che è stato un modello di welfare. Ma il progetto si è concretizzato grazie all’incontro con Silvia Elena Montagnini, un’attrice di Ivrea che ha vissuto sulla sua pelle un’esperienza simile rapportata alla vicenda di Camillo Olivetti.
Nello spettacolo c’è molto pathos per questi ingegneri mecenati e sociologi, perché?
Si, volevamo enfatizzare l’opera sociale di De Larderel che, come Olivetti poi, ha creato una vera e propria rivoluzione sociale perché intorno alla fabbrica ha fatto nascere un vero e proprio paese con scuole, farmacia, chiesa, case con piccoli orti per gli operai. Poi attraverso un “regolamento” ha valorizzato, in pieno ottocento, la vita degli operai dando loro dei vitalizi di reversibilità per le mogli, l’istruzione e la dote per i figli. Altrove all’epoca le condizioni dei lavoratori erano quasi di schiavitù.
La fabbrica come momento di crescita personale?
Si, qui c’è stato un esempio di come azienda e uomo possano vivere in armonia
Come ha strutturato lo spettacolo?
Seguendo tre linguaggi: la narrazione filologica della storia dello sfruttamento dell’energia della terra a partire dalla scoperta delle potenzialità economiche dell’acido borico da parte di Larderel fino agli anni cinquanta, il videomapping proiettato sulla facciata della Chiesa della Beata Vergine di Michelucci che, insieme alle musiche originali che trasformato un’opera architettonica di pregio in un personaggio dello spettacolo e, per finire, l’integrazione nel testo delle testimonianze degli abitanti attraverso le voci registrate.
Ha avuto difficoltà a raccogliere le interviste dagli abitanti?
Al contrario, è stato come aprire un rubinetto dal quale è sgorgato un fiume di memoria. La gente aveva una grande voglia di raccontare le proprie esperienze di vissuto in fabbrica o di ricordi recepiti dai loro famigliari.
Proporrà nuovamente questo spettacolo?
Sicuramente, questa è solo una prima fase. L’intenzione è di raccogliere ancore del materiale storico attraverso i racconti delle persone che hanno vissuto le vicende dello sfruttamento dell’energia geotermica integrati dal lavoro che stiamo facendo con i ragazzi delle scuole. Il prossimo anno sarà presentato in teatro.
“Il Teatro è energia” è il slogan di questo progetto. Perché?
Perché questa storia appartiene a tutti: a tutti le persone e alle comunità che si sono sentite parte attiva di qualcosa più grande di loro. E’ l’energia di un pezzo della storia italiana, un pezzo bello di quelli che ha volte si dimenticano. Per questo abbiamo iniziato a lavorare in teatro con i giovani nelle scuole per far capire che l’energia nasce anche dalla memoria.
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