Culture
"Io e l'Ilva", il sentito "monologo metalmeccanico" di Giuse Alemanno
di Alessandra Peluso

"Le vicende notevoli di Don Fefè..." di Giuse Alemanno. Gli anni '50 pugliesi da ridere |
Fiumi di parole sono state scritte, manifestazioni, decreti, interventi dello Stato, del Parlamento Europeo, Taranto è stata il crocevia di politici, tecnici e addetti ai lavori che hanno cercato di capire la situazione che versa l'industria metalmeccanica pugliese, tentando di intervenire per evitare danni ulteriori. È una questione piuttosto delicata soprattutto per chi vive questa realtà: si ha bisogno di lavoro, sembra essere l'unica speranza, ma nello stesso tempo c'è la salute che viene meno a causa di sostanze altamente inquinanti che sprigionano i fumi dell'Ilva. Chissà perché ci si accorge sempre in un tempo che sembra chiaramente difficile se non impossibile intervenire, eppure questa grande industria esiste da tantissimi anni. E il Sud dov'era? E l'Italia?
Ora si tenta di arginare i danni e c'è chi come Giuse Alemanno scrive un secondo libro sull'Ilva come operaio e come scrittore, dandone una sorta di testimonianza e denuncia nei riguardi di una realtà per la quale si sono chiusi spesso e per anni troppi occhi.
In “Io e l'Ilva. Monologo metalmeccanico” Alemanno osserva con acutezza e razionalità la drammatica realtà di questa industria che produce veleni e morti.
Non crede sia opportuno chiuderla semplicemente perché molta gente ha bisogno di lavorare, così come è accaduto allo stesso che nel 2001 dopo un periodo di disoccupazione e frustrazione viene assoldato a tempo indeterminato. Da operaio diventa anche scrittore ossia osservatore attento, tanto da diventare vicedirettore di “La Voce del Popolo”, un giornale prestigioso della città.
«Raccontare è la medicina che ci salva da una malattia grave degli uomini, un male che li porta a dimenticare tutto, anche se stessi» (p. 15). Una convinzione di Giuse Alemanno che dà lustro ad una città da molti purtroppo considerata come un'appestata da evitare e da starci lontano per non incappare in malattie terribili. Taranto che in passato era città egemone della ricca e colta Magna Grecia, stimata e apprezzata. Quanti secoli son trascorsi e com'è assurdo vedere ora questa città morire, perché uccisa da usurpatori senza scrupoli.

Una soluzione c'è e Giuse Alemanno la propone da analista attento e osservatore di se stesso e della realtà.
Da leggere il monologo metalmeccanico nel quale si identificano le due anime: lo scrittore e l'operaio, sensibili, instancabili, artigiani della parola e dell'acciaio, capaci di plasmare la vita; a volte crudele, misera, altre generosa e gaudente ma pur sempre vita.
«La verità è che senza l'Ilva, Taranto sarebbe definitivamente perduta». Chissà perché nessuno dopo così tanto tempo non sia riuscito a trovare una soluzione, chissà.
Questo libro sembra essere una sorta di autonarrazione di se stesso, una terapia per attutire il dolore e una speranza che in fondo l'inferno non è a Taranto. Emerge lo spirito di chi vuol dare testimonianza di una condizione sociale vissuta e narrata con dettagliata cura e fluidità tipica di uno scrittore. Ironica e pungente la penna di Alemanno dimostra di attraversare la corrente del fiume al contrario, consapevole dei pericoli e delle critiche va oltre ciò che gratuitamente qualsiasi uditore potrebbe pensare nei riguardi dell'Ilva. È chiaro che non si riferisce solo ed esclusivamente ad una fabbrica di acciaio, e no, l'Ilva o Italsider - come si chiamava prima di essere privatizzata - è un corpo alimentato da menti umane che a loro volta hanno un cervello, un cuore e che ogni giorno danno vita a questa macchina “sputa veleni” e a se stessi, in quanto senza lavoro non ci sarebbe sostentamento.
E come al solito le contraddizioni non mancano e nemmeno i compromessi che in molti qui al sud sono costretti a raggiungere. Tuttavia il monologo interiore di Alemanno stupisce e fa emergere un barlume di speranza - sarà la sua anima sensibile di scrittore, sarà quella affabile di operaio; non copre di fango una città che gli ha dato lavoro, la ama e nutre riconoscenza e pensa paradossalmente ad una possibile soluzione, ad un sogno che immagina non sia tanto lontano e che possa ridare dignità e diritti ad un luogo e ai suoi abitanti che da tempo la reclamano.
Leggere “Io e l'Ilva. Monologo metalmeccanico” di Giuse Alemanno, oltre a far conoscere questo potente marchingegno dall'interno e non da un superficiale punto di vista, permette di osservare il cosiddetto parallelismo psico-fisico di scrittore e operaio: entrambi uniti in un'unica identità inossidabile e resistente alla corrosione come l'acciaio.
