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Culture
Prato, questa mostra è "La fine del mondo"
Centro Pecci esterno. Foto Ivan D'Alì

Di Raffaello Carabini

Ogni giorno affrontiamo il dilemma dell’incertezza del vivere contemporaneo. Del rischio e del dubbio. Di una realtà mutabile e che va oltre i sensi, nel baratro del tempo e nello sprofondo dello spazio. Presi nella morsa di mondi alieni possibili (sembrava ne fosse stato individuato uno attorno alla stella KIC8362852, la cui anomala luminosità pareva data dal chiudersi progressivo di un guscio di metallo) e di alienazione certa della contemporaneità.

E l’arte non può che prendere coscienza di questa generalizzata condizione di avanzamento in mezzo alle sabbie mobili e alle mine anti-uomo, in un girotondo che vede istanze politiche, necessità sociali, progresso tecnologico, desideri individuali, lungimiranza artistica in perenne discrasia. “Ciò che abbiamo conosciuto finora è obsoleto”, dice Fabio Cavallucci, direttore del Centro Pecci per l’Arte Contemporanea di Prato e curatore in loco della magnifica esposizione La Fine del Mondo, che dovrebbe essere obbligatoria per le scuole di ogni ordine e grado.

“La mostra non vuole essere la rappresentazione di un futuro catastrofico imminente, piuttosto la presa di coscienza della condizione di incertezza in cui versa il nostro mondo. Non parte da un concetto o da una teoria da dimostrare, cerca piuttosto, attraverso le opere, di stimolare delle condizioni percettive: considero l’arte un elemento atto a muovere il pensiero, a stimolare un dibattito, quasi un reagente di un’operazione chimica, più che un prodotto capace di dare risposte”. Parole sante.

La Fine del Mondo è allestita fino al 19 marzo nella città toscana, dove il Centro ha riaperto i battenti, dopo tre anni di restauri e una nuova costruzione a forma di semi-navicella spaziale progettata dal sino-olandese Maurice Nio (con una spesa di poco più di 14 milioni di euro, contenuta rispetto a faraoniche proposte similari). Il percorso espositivo, su oltre 3mila metri quadri, si apre con la coppia di ominidi di 3,7 milioni di anni fa, gli “Australophitecines” rappresentati in maniera accuratissima da Giovanna Amoroso e Istvan Zimmermann, e chiude con la grande “sala conferenze” titolata “Quarantine” e allestita dal polacco Robert Kusmirowski completamente in bianco e completamente affastellata di oggetti scompagnati alle pareti e sedie diversissime: un universo privo di altri colori e immerso nei disegni della sola luminosità.

All’interno autentiche installazioni-capolavoro. Citiamo, tra le tante, la “Head On” del cinese Cai Guo-Qiang, con 99 lupi che corrono tutti a infrangersi contro una barriera invisibile di vetro e poi a riprendere la corsa in un infinito ripetere il medesimo “errore”; i video dello spagnolo Luis Urculo “Ensayo sobren la Ruina”, con una serie di piccole costruzioni che si autodistruggono, a simboleggiare la fragilità delle umane cose, oppure quello della canzone “Black Lake” dell’islandese Bjork, immersa nella lava onnipresente della sua terra, proposto in un doppio megaschermo; il geniale passaggio tra il nuovo e il vecchio palazzo Pecci, “Transcorrendor” del brasiliano Henrique Oliveira, un avanzare verso una natura impegnata a reimpossessarsi, vitale e positiva, del mondo manipolato dall’uomo e insieme, muovendo all’indietro invece che nella direzione “ufficiale”, un tragitto inquieto e claustrofobico verso l’attualità e il cosiddetto ordine.

E poi, in un succedersi affascinante e stimolante di sorprese e invenzioni, di richiami e sollecitazioni, opere del formidabile svizzero Thomas Hirschhorn, che firma l’evocativo varco spazio-temporale “Break Through”, del musicista elettronico francese Joakim (Bouaziz), di cui si ammira un recente videoclip, del nativo americano Jimmie Durham, dell’architetto francese Didier Fiuza Faustino, del cubano Carlos Garaicoa, e via dicendo, punteggiate da “riferimenti” di icone dell’arte del 900: Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Tadeusz Kantor, Umberto Boccioni, Lucio Fontana...

Un’esposizione che coinvolge tutti i visitatori da subito, mettendo sullo stesso piano grandi e piccini, acculturati e superficiali, costringendo a una revisione critica delle proprie convinzioni. Un’esposizione importante, che riesce a farci fare pace, comprendendola e discutendola (anche grazie alle intelligenti schede che accompagnano le titolazioni), con l’arte contemporanea. Finalmente.

La fine del mondo

Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci

viale della Repubblica, 277 – Prato

fino al 19 marzo

orario: da martedì a domenica 11-23 – lunedì chiuso (la biglietteria chiude alle 22.30). Aperto anche tutti i festivi

ingresso: € 10  – € 7 sopra i 65 e sotto i 26 anni, gruppi di almeno 12 persone e varie tessere – € 5 insegnanti e studenti scuole d’arte

prenotazioni gruppi: tel. 0574 531840; 06.39967450

sito: http://centropecci.it/it/info

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Tags:
prato mostra “la fine del mondo”





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