Culture
Transgender, la storia di Lucrèce, stella del cabaret parigino Anni '50
"Lucrèce n'est pas une femme". Chi era la stella del cabaret parigino di genere di soli uomini negli Anni Cinquanta
Dall'esperto francese della letteratura di Oscar Wilde, Pascal Aquien, il dialogo seducente con la famosa vedette parigina transgender nel libro pubblicato da Les Indès
di Paola Serristori
L'intellettuale e la vedette del cabaret davanti al tema insondabile del desiderio. Un dialogo che nasce da punti di vista contrapposti e diventa riflessione sull'esistenza. Un professore che insegna Letteratura inglese, alla rinomata Università Sorbonne incontra, per caso, in un ristorante della capitale la famosa Lucrèce, stella del cabaret parigino di genere di soli uomini. Lucrèce si è esibita anche in Italia, al William's Club Le Roi in via Manzoni, a Milano, poi a Torino, Napoli. Non la riconosce a prima vista. Non soltanto perché Lei-Lui, ancora bella, è già sulla settantina. Un commensale si prende gioco dell'amico: “Al bar ci sono due donne. Una è una vera donna, l'altra no. Chi è?”, lo stuzzica. Il professore Pascal Aquien, che è esperto della figura di Oscar Wilde - all'originalità dei suoi pensieri ed alla profondità dei suoi scritti ha riservato un corso - , acuisce la vista, osserva con l'occhio critico del letterato, e rivela: “Sono sicuro di avere la risposta. Quella di sinistra è la donna”. “No, è un transgender”. Touché, colpito. L'uomo coltivato da studi e ricerche ha un colpo di fulmine intellettuale. Su quella donna così vera, e così effimera sotto lo charme, vuole scrivere un libro. Non è andata proprio così, spiega oggi l'autore di “Lucrèce n'est pas une femme”, pubblicato da Les Indés , ma la sintesi che la giornalista vi presenta è fedele. Tra la folgorazione iniziale e la preparazione del libro intercorrono sedici anni di conversazioni settimanali attorno ad un caffè, tra i ricordi. Il professore Aquien, oggi vicepresidente del Consiglio scientifico della Sorbonne racconta: “Quando ho saputo chi fosse, mi sono avvicinato per presentarmi. Avevo appena 'fallito' un'intuizione, ero curioso di saperne di più. Stava parlando di opera lirica, di cui è appassionata. A Milano aveva assistito alla Turandot, alla Scala. Ho scoperto una persona amabile, che mi ha confidato con sincera emozione un modo diverso di affrontare la vita, le avventure, gli incontri”.

Che cosa l'ha colpita di Lucrèce?
“Non ho mai pensato di giudicare una persona. Ho voluto comprendere la scelta di vivere un'esistenza come donna. Non si tratta di un gioco, ma dell'intera vita. Lucrèce non ha mai rinnegato l'identità maschile. Ha avuto amori giovanili femminili e maschili. Un giorno, in cui il nostro confronto si è fatto serrato, mi ha ribaltato l'interrogativo, definendo una personalità 'molto complicata' quella di chi cerca di analizzare un naturale modo di essere. Di rimando le ho chiesto se si era mai innamorata di una donna, e lei, perché io mi rivolgo a Lucrezia-Lulù al femminile, mi ha risposto con fulminante ironia: 'Io non sono una lesbica!’”.
Lucrèce ha ricevuto alla nascita il nome di André. Figlio di una famiglia operaia, a quindici anni perde il papà, a vent'anni rimane orfano anche di mamma. La sua carriera comincia a diciott'anni, nei più noti cabaret tra rue de Martyrs, “Madame Arthur”, e rue du Colisée, “Carrousel”, poco lontano da Pigalle. Canta e balla in abiti femminili. Non avrà un compagno sino alla vecchiaia, ma amori che lasciano la sensazione di gioia e rispetto. Tutti gli uomini che l'hanno avvicinata credevano di trovarsi di fronte ad una donna, ma l'inattesa identità non gli ha impedito di innamorarsi di André-Lucrèce, malgrado fossero virili, sposati, tanto che lei inizia a pensare che tutti gli uomini siano, in realtà, omosessuali. Soprattutto non si perderà di vista. Fedele alla scelta di vita, si dedica allo spettacolo, viaggia per prendere parte alle tournée in Europa e nel mondo. Osserva lo scorrere degli anni, animata da una potente intuizione. Il libro è un'originale autobiografia, atemporale, che attraversa le epoche fissando memorie legate ai temi anziché al momento. Oggi Lucrèce ha ottantasei anni e scorre con aria divertita le pagine del volume che le è dedicato, orgogliosa di essere una regina di seduzione.
Qual è il filo conduttore del dialogo tra l'autore e la protagonista?
“Io non giudico, cerco di capire le emozioni di chi decide di vivere indossando abiti femminili. Noi abbiamo una rappresentazione sociale dell'apparenza che ci porta a pensare che sia insolito vestirsi da donna se nasci maschio. Volevo comprendere perché un uomo prova il bisogno di vestirsi come una donna. Ho raccolto le riflessioni di Lucrèce, più spesso acute intuizioni, sull'esistenza al femminile”.
Il testo è organizzato come un glossario, facile da scorrere, senza ordine cronologico, per meglio addentrarsi nella psicologia del quotidiano e cogliere la filosofia esistenziale di Lui-Lei. Per la copertina sono state scelte due immagini che sono l'originale montaggio fotografico degli Anni Cinquanta, quando Lucrèce, trentenne, posò in abiti maschili e, nella stessa seduta davanti all'obiettivo, appena il tempo di cambiarsi, in abiti femminili. Foto e titolo sono emblematici del colloquio tra il professore e l'artista. “Je suis un garçon particulier, ma je ne suis pas une femme (sono un ragazzo particolare, ma non una donna)”, è la definizione data a se stessa da Lucrèce, che spiazza l'intellettuale.