Il cibo italiano? Carissimo. Ecco perché il nostro export fa flop
Logistica, intermediazione, volumi. Sono questi i primncipali motivi che fanno sì che il prosciutto italiano o la pasta o il parmigiano negli altri Paesi Ue abbiano prezzi esorbitanti. A dare una risposta alla domanda che ciascuno di noi si è posto quando gli è capitato di entrare in un supermercato straniero è Lorenzo Bazzana, responsabile tecnico economico di Coldiretti.
A Bazzana Affaritaliani.it ha chiesto perché il cibo made in Italy nel resto dell'Unione Europea costa così tanto dopo la segnalazione di un ascoltatore di "Prima Pagina", la rassegna stampa di Radio Tre che per tutta la settimana è condotta dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino.
Scrive l'ascoltatore: "Sono stato a Parigi per qualche giorno, pensavo: libero mercato, stessa moneta, Unione Europea... i prezzi degli alimentari italiani più alti ma paragonabili a quelli in Italia. Invece ho dovuto constatare che c'è una vera ostruzione per i prodotti italiani. Altro che mercato comune, peggio di quanto c'erano i dazi e le dogane. Un esempio fra tutti: ho trovato nei mercati il prosciutto dai 60 ai 90 €/Kg, e quello di Parma sigillato, bio che sia, addirittura, a 112 €/Kg. Sono sorpreso e scandalizzato che le autorità europee ed italiane preposte non intervengano a difesa di questo 'Mercato Comune Europeo" .
"Se fosse veramente un mercato unico non ci sarebbero le distorsioni che ci sono a partire dalle differenze sulla tassazione, sull'Iva e sulle stesse normative - spiega ad Affaritaliani.it Bazzana -. Il problema, anzi i problemi, stanno altrove. Non solo Parigi: basta andare in qualsiasi altro Paese per vedere che i prezzi dei nostri prodotti vanno al di là di ogni ragionevolezza. Ed è chiaro che poi si fa così fatica a penetrare questi mercati".
Già, ma perché i prezzi sono così alti? "Dipende da un mix di fattori. Innanzitutto la logistica: è certamente più difficile portare un prodotto dall'Italia negli altri Paesi che non il contrario. Per dire: è più semplice raggiungere la Germania dalla Spagna che non dall'Italia Poi pesa il fatto che non abbiamo aziende della grande distribuzione con una presenza forte e consolidata all'estero. Quindi molto spesso le catene a cui ci si affida hanno già loro fornitori. Penetrare quesgli scaffali è insomma per il made in Italy più difficile e costoso".
Il paradosso è infatti che, racconta Bazzana, si fa talmente fatica a raggiungere accordi diretti con i fornitori locali che a volte conviene la 'triangolazione'. "Molti prodotti italiani, per esempio, arrivano all'estero passando dall'Olanda. Naturalmente un eccesso di intermediazione si riflette sui prezzi penalizzando i nostri prodotti". Ovviamente tutto questo non succede ai prodotti stranieri che finiscono nei supermercati italiani.
Altro problema sono poi i volumi "che per il made in Italy all'estero sono decisamente ridotti. E' chiaro dunque che ripartire costi di spedizione, di campagna pubblicitaria e di intermediazione su pochi pezzi fa aumentare il ricarico", contnua l'esperto Coldiretti. Insomma, la vecchia economia di scala.
Infine "influisce anche il fatto che rispetto agli altri Paesi esportiamo poco. Tutta questa immagine del made in Italy, questa voglia di prodotti italiani e il dilagare dell'agropirateria non si traducono poi in performance esportative eccezionali. Per dire: in percentuale il Belgio e la Danimarca esportano più di noi nell'agroalimentare".
La politica può fare qualcosa? "Dal punto di vista dei prezzi si può fare poco in Europa. Anche perché siamo in un libero mercato. Quello che potrebbe fare il governo è intervenire altrove: per esempio cercando di semplificare la logistica, aiutando gli operatori a raggiungere più velocemente e efficacemente i mercati esteri e cercando di costruire un'immagine comune per fa sì che farsi pubblicità e penetrare quei mercati costi meno". Detto in soldoni: il governo italiano potrebbe agevolare le imprese che esportano.