Economia
Brexit, accordo più vicino. L'Italia rischia 4 miliardi di export

Tra May e Juncker ancora nessun accordo ma cresce l’ottimismo. Tra gli italiani rischiano di più Yoox Net a Porter, Leonardo, Scavolini, Exor e Prada
Se entro la mezzanotte del 29 marzo 2019 non dovesse giungere un accordo, come invece ci si attende, la Brexit costerebbe cara anche all’Italia: nell’ipotesi peggiore infatti si applicherebbero le regole del Wto, per cui le condizioni da applicare ai paesi Ue diverrebbero quelle utilizzate da Londra nel miglior accordo con un paese terzo, fatta salva la possibilità di introdurre barriere non tariffarie. Secondo uno studio del ministero dello Sviluppo economico, l’export italiano si ridurrebbe in questo caso di 4,1 miliardi pari al 20% circa dei 22,5 miliardi attuali. Nell’ipotesi migliore, ossia uno scenario “norvegese” con relazioni basate su un accordo di libero scambio e basse barriere non tariffarie, il calo dell’export italiano si ridurrebbe di meno di 360 milioni di euro quasi esclusivamente legati ai prodotti agroalimentari (dal 2016 la Gran Bretagna è il primo mercato di sbocco dello spumante italiano).
Ma a livello aziendale, quali gruppi rischiano maggiormente? Yoox Net a Porter è tra i più esposti, ricavando dal mercato britannico il 15% circa del suo fatturato, ma anche il Gruppo Italiano Vini (11,5% del fatturato) piuttosto che Leonardo, con 7 mila dipendenti (il 16% del totale) e 2 miliardi di euro di ricavi (16,7%), di cui miliardo legato all’export, subirebbero nell’ipotesi peggiore contraccolpi non trascurabili. Tra gli altri nomi italiani che hanno investito in questi anni in Gran Bretagna vi sono poi Exor (proprietaria del 43,4% del gruppo Economist), piuttosto che marchi come Prada (che nel 2009 ha comprato il marchio di calzature di lusso britanniche Church) o Scavolini (presente nel Regno Unito con una propria controllata dal 2015). In tutto tra grandi e piccole sono oltre mille le società tricolori che operano sul mercato inglese: loro sicuramente spereranno fino all’ultimo che un accordo si trovi o forse anche che la Brexit possa davvero essere “reversibile”.
Luca Spoldi