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Economia
Brexit, la Gran Bretagna ammette: "Violato il diritto internazionale"

"Sì, violiamo il diritto internazionale, ma in modo molto specifico e limitato": l'ammissione del segretario di Stato britannico per l'Irlanda del Nord, Brendon Lewis, segna un nuovo strappo sulla Brexit ed è stata accolta con incredulità a Bruxelles, mentre è ai nastri di partenza l'ottavo round negoziale volto a regolare le relazioni future tra l'Unione europea e la Gran Bretagna. Una trattativa che evidentemente parte in salita ripida, dopo l'escalation polemica tra le parti in seguito all'ultimatum di due giorni fa del premier Boris Johnson, che minaccia un No deal se non si arriverà ad un accordo entro il 15 ottobre.

Il fatto è che le notizie in arrivo da Londra sembrano puntare innanzitutto a destabilizzare la controparte. Prima l'"Internal Market Bill" (che sarà presentato venerdì a Westminster, che non si sa ancora bene quando dovrebbe essere licenziato) che, modificandone alcuni passaggi-chiave, finirebbe per "svuotare" l'accordo tra Ue e Londra sulla Brexit sottoscritto dallo stesso BoJo l'anno scorso dopo defatiganti trattative. Ora sono arrivate le dimissioni del capo del dipartimento legale del governo britannico, che ha lasciato il posto in aperta polemica con la posizione negoziale di Londra sulla Brexit. Lo rivela il Financial Times, spiegando che la mossa che ha spinto Jonathan Jones al clamoroso addio è proprio il disegno di legge di cui sopra, tanto da rendere il capo giurista di Downing Street "molto infelice".

Una proposta di legge che ieri aveva già provocato l'ira della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e scatenato la dura reazione del capo negoziatore dell'Ue, Michel Barnier: "Tutto quel che viene firmato deve essere rispettato".

Fatto sta che i toni si alzano ancora una volta, e praticamente nessuno - a Londra e a Bruxelles - scommette su una svolta positiva a questo giro. Di "gravi conseguenze" in caso di mancato accordo parla il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che ripete il "pacta sunt servanda" che da ieri è diventato il mantra in casa Ue rivolto all'esecutivo di BoJo. "Ci aspettiamo - prosegue Sassoli - che il Regno Unito rispetti pienamente gli impegni che ha negoziato e sottoscritto l'anno scorso - soprattutto per quanto riguarda i diritti dei cittadini e l'Irlanda del Nord". Ovviamente non è l'unico a parlare.

"L'Europa non si farà ricattare", attacca Manfred Weber, che scandisce che "se vinceranno gli ideologi, tutti perderanno". Il capogruppo Ppe ha avvertito che gli accordi sulla Brexit "devono essere rispettati, senza discussioni o ulteriori negoziati da parte britannica. Si tratta della domanda fondamentale se ci si possa fidare delle intese internazionali". Il malumore, insomma cresce, e lo scenario del No deal appare essere sempre più concreto.

Tanto che qualche eurodeputato inizia a invocare l'interruzione dei negoziati in corso, se l'ipotetica legge britannica sul mercato interno non sarà tolta dal tavolo. Lo dice apertamente per esempio il capo della commissione per il commercio al Parlamento europeo, Bernd Lange, allo Spiegel online, lo ribadisce il capogruppo della Linke all'Europarlamento Martin Schirdewan, che siede nel gruppo-Brexit al quale Barnier riferisce regolarmente dell'andamento delle trattative: "L'Unione europea dovrebbe interrompere i colloqui con Londra, finché Johnson non torna alla ragione", spara Schirdewan.

La mancanza di fiducia ai due fronti della trattativa pare completa. Prima di sedersi al tavolo, il capo negoziatore britannico David Frost ha dichiarato che Londra chiede "maggior realismo" all'Ue nella trattativa sulla Brexit. "Se vogliamo un'intesa prima della fine dell'anno, è necessario che ci siano progressi già questa settimana", dice Frost, facendo capire che quel che gli preme è lo status del Regno Unito come "Stato indipendente". E se Bruxelles "non ce la fa, nei tempi molto limitati che ancora ci rimangono, allora tratteremo per ottenere condizioni come quelle che l'Ue ha con l'Australia".

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