Dazi: duello Usa-Cina, dallo scontro al disgelo - Affaritaliani.it

Economia

Dazi: duello Usa-Cina, dallo scontro al disgelo

Il vicepremier Liu He sarà a Washington sabato per firmare la fase1 dell'accordo commerciale tra Usa e Cina

Il vicepremier cinese Liu He sabato guiderà una delegazione in visita a Washington, dove potrebbe firmare la 'fase1' dell'accordo commerciale tra Cina e Stati Uniti.

Lo riporta il South China Morning Post, citando una fonte vicina alla situazione secondo cui Washington avrebbe inviato un invito ufficiale a Pechino, che la Cina "ha accettato".

Sempre secondo la fonte, la delegazione cinese dovrebbe rimanere "pochi giorni" negli Stati Uniti, fino a metà della prossima settimana.

Cina e Stati Uniti hanno raggiunto l’accordo di fase uno sul commercio che segna una nuova tregua nella disputa tariffaria in corso dall’aprile 2018, in quello che appare come il maggiore risultato nelle relazioni sempre più difficili tra le due grandi economie mondiali.

Negli ultimi giorni del 2019, i negoziatori dei due team stanno lavorando per arrivare alla firma, entro i primi giorni del 2020, dell’accordo che comprenderà i trasferimenti di tecnologia, la proprietà intellettuale, i prodotti alimentari e agricoli, i servizi finanziari e l’espansione del commercio. 

 La Cina aumenterà “significativamente” le importazioni di prodotti agricoli dagli Usa, come carne di maiale, pollame, fagioli di soia, grano, mais e riso, uno dei punti a cui teneva maggiormente il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e su cui è rimasta l’incertezza fino alle ultime ore.

La nuova tregua raggiunta da Washington e Pechino ha eliminato il rischio di nuove tariffe al 15% che sarebbero scattate il 15 dicembre scorso su quasi 160 miliardi di dollari di prodotti made in China, a cui Pechino avrebbe risposto con tariffe su 3.300 prodotti statunitensi, ma non eliminano le tariffe al 25% su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi che, ha precisato Trump, “rimarranno come sono”, mentre verranno ridotte al 7,5% le tariffe su “molto del resto”, per un totale stimato in 120 miliardi di dollari di prodotti cinesi.

Il successo dei negoziati è stato preceduto da cambi di fronte, a volte repentini, che hanno mandato in altalena i mercati mondiali.

 I primi colpi della guerra commerciale prendono di mira 34 miliardi di dollari di prodotti tecnologici cinesi esportati verso gli Usa, colpiti con tariffe del 25%, a cui è seguita una seconda tranche di sedici miliardi di dollari il mese successivo: colpi ai quali Pechino ha risposto con misure di rappresaglia di pari valore.

 Il 24 settembre dello scorso anno, entrano, poi, in vigore tariffe al 10% su duecento miliardi di dollari di prodotti made in China, a cui Pechino risponde con nuovi dazi di rappresaglia, ma non di eguale portata, andando a colpire con tariffe dal 5% al 10% sessanta miliardi di dollari di prodotti made in Usa. Prima di arrivare a una tregua, di novanta giorni, dovranno passare diversi mesi e solo il 1 dicembre successivo, a margine del vertice del G20 del 2018 di Buenos Aires, il presidente cinese, Xi Jinping, e il presidente Usa, Donald Trump, raggiungeranno un’intesa.  

Nei mesi successivi, nonostante i progressi sul testo di un’intesa sul commercio e una serie di colloqui “produttivi”, citati sia dagli Usa che dalla Cina, si verifica una nuova rottura:

a maggio 2019, Trump su Twitter annuncia l’innalzamento a partire dal 10 maggio delle tariffe su duecento miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina verso gli Usa, che passeranno dal 10% al 25%, e apre alla possibilità di imporre “a breve”, altre tariffe, sempre al 25%, su altre 325 miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina.

All’innalzamento delle tariffe annunciato da Trump fa seguito, pochi giorni dopo, la rappresaglia cinese: un innalzamento tra il 10% e il 25% delle tariffe su sessanta miliardi di dollari di prodotti made in Usa. In entrambi i casi, gli aumenti tariffari scattano a partire dal 1 giugno 2019.   

 Cina e Stati Uniti paiono di nuovo allontanarsi e l’attesa per un nuovo incontro tra Trump e Xi, a margine di un altro G20, quello di fine giugno scorso a Osaka, è altissima. In Giappone, Cina e Stati Uniti si accordano per la ripresa dei colloqui sul commercio, interrottisi il mese prima. 

Gli Stati Uniti hanno anche deciso di non imporre ulteriori tariffe aggiuntive alle esportazioni cinesi dirette negli Usa: a rimanere in sospeso è la disputa sul gigante delle telecomunicazioni, Huawei, colpita da un bando di vendita di componenti per i gruppi Usa emesso dal Dipartimento del Commercio di Washington, che verrà rinviata al termine dei negoziati sul commercio. 

Anche in questo caso, la tregua è di breve durata e il 1 agosto scorso l’atmosfera torna a surriscaldarsi:

Trump annuncia  l’imposizione di nuove tariffe al 10% su 300 miliardi di dollari di prodotti made in China, a cui fa seguito, poche settimane più tardi, la decisione di rinviare le tariffe su oltre la metà dei 300 miliardi di dollari di merci al 15 dicembre successivo, anche se le tariffe al 10% su 115 miliardi di dollari di prodotti made in China entreranno comunque in vigore dal 1 settembre. Alla mossa di Trump, il governo cinese risponde annunciando tariffe di rappresaglia fino al 10% su 75 miliardi di dollari di prodotti statunitensi.  

La nuova misura sarebbe entrata in vigore in due fasi, dal 1 settembre e dal 15 dicembre, ricalcando la tempistica Usa, e le tariffe sarebbero state applicate su 5.078 prodotti statunitensi, tra cui anche il greggio, i fagioli di soia e prodotti del settore automobilistico. Trump, adirato, annuncia un innalzamento del 5% sulle tariffe previste su 550 miliardi di dollari di prodotti made in China, dopo la rappresaglia di Pechino.  Entrambe le tranches di dazi che dovevano entrare in vigore il 15 dicembre scorso sono state sospese, dopo un accordo, già annunciato a ottobre scorso, sulla fase uno dei negoziati. 

La disputa tariffaria appare parzialmente risolta, ma l’accordo raggiunto da Cina e Stati Uniti appare come il maggiore risultato delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, sempre più divise su altre questioni:

Dai timori di spionaggio informatico, fino alla questione di Hong Kong e a quella dei diritti umani nella regione autonoma cinese dello Xinjiang. Poche settimane prima dell’annuncio dell’intesa, a Pechino, durante il New Economy Forum organizzato da Bloomberg, l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger, aveva avvertito delle conseguenze di un mancato accordo nella quesitone delle tariffe, che aveva detto, potrebbe sfociare in una guerra vera tra le due grandi potenze: i colloqui in corso, aveva spiegato il 96enne artefice dell’allacciamento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti negli anni Settanta, rappresentano un “surrogato” per altri colloqui su problemi di maggiore peso.