Economia
"Dazi, Trump canta vittoria ma è Xi a muovere i fili: Pechino guadagna tempo e punta al colpo grosso prima delle elezioni USA 2026"
Dazi, terre rare e Fentanyl: la tregua USA-Cina è solo una pausa strategica, mentre Pechino prepara la prossima mossa. L'intervista a Dennis Shen, economista di Scope Ratings

Donald Trump e Xi Jinping
Trump brinda alla pace, Xi pianifica la rivincita: la tregua con la Cina è solo una pausa
Trump e Xi si stringono la mano, ma la tregua con Pechino ha il sapore di una pausa più che di una pace. Dopo l’incontro a Gyeongju, in Corea del Sud, che il presidente americano ha definito "un successo", i due leader hanno trovato un’intesa di principio su commercio e terre rare. I dazi sui prodotti cinesi scenderanno dal 57% al 47%, e quelli sulle sostanze chimiche usate per produrre Fentanyl, al centro dell’emergenza oppioidi americana, passeranno dal 20% al 10%. L’accordo durerà un anno, con la promessa di prorogarlo.
Un gesto che sa di distensione, ma davvero la guerra commerciale è finita, o è solo una pausa strategica prima del prossimo round? Su questo punto Affaritaliani ha interpellato Dennis Shen, economista di Scope Ratings, agenzia di rating europea.
La riduzione dei dazi e la ripresa degli acquisti cinesi di soia sono il segnale di un reale allentamento della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina?
Si tratta di un allentamento temporaneo del conflitto commerciale, ma soprattutto di un modo per entrambe le parti di tirarsi indietro dal precipizio, mettere al sicuro alcuni vantaggi concreti e guadagnare tempo in vista di un inevitabile nuovo round di tensioni.
Pechino ha usato il controllo sulle terre rare per mettere pressione su Washington. Possiamo aspettarci che questa tattica diventi una strategia fissa nelle future trattative commerciali?
Certamente. La Cina si è preparata alla “versione 2.0” di Trump, imparando dai successi e dagli errori della prima guerra commerciale, e probabilmente è rimasta sorpresa essa stessa dall’efficacia della strategia basata sulle esportazioni di terre rare. L’allentamento concesso da Pechino sulle esportazioni verso gli Stati Uniti durerà solo un anno, volutamente.
È prevedibile che la Cina torni a usare la stessa mossa per costringere ancora una volta Washington ad accettare concessioni significative – magari poco prima delle elezioni di mid-term del 2026, quando gli Stati Uniti saranno più vulnerabili. È probabile che l’America continui a negoziare accordi per ridurre gradualmente questa debolezza strategica e tattica.
E poiché non sono solo gli Stati Uniti a dipendere dalle terre rare cinesi, Pechino detiene una posizione di vantaggio anche sul piano globale, in uno scenario commerciale che potrebbe presto richiedere risposte multilaterali coordinate.
Donald Trump parla di un "accordo straordinario", mentre Xi Jinping lo definisce "di base". Chi dei due ha davvero portato a casa risultati concreti?
In parte, le parole riflettono la diversa personalità dei due leader e dei rispettivi governi. L’intesa appare sostanzialmente equilibrata, ma la Cina ne esce leggermente avanti: ottiene una riduzione effettiva del 10% dei dazi in cambio di impegni d’acquisto vaghi e non quantificati, oltre alla rimozione di alcune restrizioni all’export (la cosiddetta "regola delle sanzioni al 50%") su controlli alle terre rare che, di fatto, non erano mai stati pienamente applicati.
Quanto è credibile l’impegno di Pechino nel frenare il traffico di Fentanyl in cambio di un taglio del 10% sui dazi? E cosa rivela questo sul modo in cui Trump conduce la trattativa con Xi?
Grazie al suo modello politico, Pechino può ottenere risultati rapidi su temi come il contrasto al traffico di Fentanyl, dove altri governi impiegherebbero molto più tempo. È un terreno su cui la Cina è stata disposta a impegnarsi se in cambio poteva ottenere concessioni dagli Stati Uniti, come la riduzione dei dazi di 10 punti percentuali. Il segretario al Tesoro americano Scott Bessent ha dichiarato lo scorso 15 ottobre che Pechino avrebbe dovuto dimostrare progressi per almeno sei mesi prima di ottenere benefici doganali, ma la linea dura di Xi si basava sull’idea che Trump, alla fine, avrebbe ceduto e fatto concessioni.
Come si inserisce l’annuncio della ripresa dei test nucleari nel contesto del tentativo di ridurre le tensioni con la Cina?
Le dichiarazioni di Trump sono arrivate poco prima del suo incontro con Xi, ma le sue intenzioni vanno ben oltre la Cina. È una mossa per mostrare forza, nel contesto di una nuova corsa agli armamenti tra le grandi potenze globali. Considerata l’ammirazione di Trump per Vladimir Putin, il messaggio sembra diretto più a Pechino che a Mosca.
Se i dazi continuano a rallentare la crescita di entrambe le economie, qual è il senso di mantenere uno stallo che penalizza tutti? E in questo scenario, l’Europa è spettatrice o possibile bersaglio?
Il principale deficit commerciale degli Stati Uniti resta quello con la Cina. Il protezionismo e l’indebolimento del dollaro servono a riequilibrare la bilancia commerciale americana, riportare lavoro manifatturiero in patria e rilanciare la produzione nazionale. Una strategia che inevitabilmente finisce per scontrarsi con la Cina, cuore manifatturiero del mondo. Pechino, che ha beneficiato per decenni del sistema commerciale globale, oggi deve però difendere i propri interessi quando viene provocata. È quindi sia una questione economica che politica.
E anche se la Cina resta il "nemico pubblico numero uno" per Washington, l’Unione Europea rimane comunque nel mirino — sia per le mosse americane, sia per le reazioni di Pechino.
