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Economia
Eurogruppo, l'Olanda vale il 6% del Pil Ue. Ma ha in pugno l'Europa del Sud
Foto: LaPresse

In seno all’Eurogruppo si contrappongono due schieramenti di peso quasi equivalente, i paesi “latini” e quelli “anseatici”. Berlino corteggia Parigi, Roma deve provare a portare dalla sua anche la Polonia

Di Luca Spoldi

Ennesima fumata nera dall’Eurogruppo: i i ministri finanziari della zona euro non sono ancora riusciti ad elaborare una risposta comune all’emergenza coronavirus per lo scontro frontale tra i “falchi”, capitanati dall’Olanda, che non vogliono neppure sentir parlare di Eurobond e mutualizzazione del debito, e le “colombe” come Italia, Spagna e Francia che cercano di trovare il modo di arrivare ad un sostegno ai paesi più colpiti dalla pandemia di Covid-19 che non si limiti al ricorso ad un aumento del debito pubblico nazionale.

 

I colloqui dell’Eurogruppo riprenderanno domani, nel frattempo gli “sherpa” cercheranno di ulteriormente elaborare le proposte sul tavolo, in particolare l’idea sponsorizzata dalla Francia di dare vita ad un fondo europeo di solidarietà ad hoc in grado di concedere prestiti a interessi prossimi a zero per promuovere gli investimenti e la ricostruzione di settori indeboliti, compreso il settore medico, finanziandosi emettendo obbligazioni a 5-10 anni. Lo scontro in atto può sembrare quello tra Davide e Golia, se espresso in termini di Prodotto interno lordo, ossia di apporto alla ricchezza dell’Unione europea che ogni paese è in grado di fornire.

 

L’Olanda, famosa per i suoi tulipani e la bassa tassazione sui profitti delle società, concorre ai 13.484 miliardi di euro di Pil aggregato della Ue-27 con 774 miliardi (il 5,74% del totale). L’Italia, per contro, ha registrato nel 2019 un Pil di 1.766 miliardi (l’13,1% del totale Ue-27) pari a 2,28 volte quello olandese. Già questo basterebbe a valutare come non sia credibile la ricostruzione secondo cui Amsterdam da sola tenga in scacco Roma e metta anzi a rischio la tenuta stessa dell’Unione europea, tanto più se si considera che il fronte italiano comprende anche Francia e Spagna, raggiungendo un totale di 5.321 miliardi di Pil aggregato (pari a quasi il 40% del Pil europeo).

 

In realtà in seno all’Eurogruppo il fronte “anti-rigorista” è più ampio e così il suo peso percentuale in rapporto al Pil europeo. Oltre a Italia, Francia e Spagna ne fanno parte anche Portogallo (204 miliardi di Pil), Grecia (185 miliardi), Malta (12 miliardi), Lussemburgo (60 miliardi), Irlanda (324 miliardi), Belgio (460 miliardi), Slovenia (46 miliardi), Lussemburgo (60 miliardi), Estonia (26 miliardi), Lettonia (29 miliardi), Lituania (45 miliardi) e Slovacchia (quasi 90 miliardi) e Cipro (21 miliardi), ossia 16 stati, con un Pil aggregato di oltre 6.882 miliardi, pari al 51% del Pil totale della Ue-27, ossia quasi 9 volte la ricchezza prodotta dall’Olanda.

 

Ma dietro l’Olanda sono schierate le altre nazioni “anseatiche”, a partire dalla Germania (3.344 miliardi di Pil) e poi Austria (386 miliardi di Pil), Danimarca (301 miliardi), Svezia (471 miliardi), Finlandia (234 miliardi) e Norvegia (368 miliardi), oltre a quei paesi dell’Est Europa da sempre attratti da Berlino: Polonia (496 miliardi), Ungheria (134 miliardi), Repubblica Ceca (207 miliardi), Romania (205 miliardi). In tutto 11 paesi membri, con un Pil aggregato di quasi 6.620 miliardi (il 49% del Pil europeo).

 

Se il conteggio dei voti sembrerebbe ormai favorevole alla proposta dei paesi “latini”, il peso economico dei due schieramenti svela come lo stallo rischi di perdurare ancora a lungo, a meno di defezioni dall’uno o dall’altro campo. Non a caso Berlino sembra “corteggiare” Parigi perché si accontenti di una semplice menzione della sua proposta in un documento condivido dall’Eurogruppo che rinvii l’entrata in vigore del fondo e il dettaglio delle clausole operative in base alle quali i prestiti potranno essere concessi e gli oneri saranno ripartiti tra i vari paesi membri dell’Unione.

 

Dal canto suo l’Italia potrebbe forse cercare di rinsaldare i legami creatisi negli ultimi decenni con paesi come la Polonia. O confidare che il dibattito interno alla Germania tra “falchi” come il ministro tedesco dell’Economia, Peter Altmaier (e il suo predecessore, Wolfgang Schaeuble) e “colombe” come l’ex cancelliere Gerard Schroder (piuttosto che gli economisti Michael Huther e Clemens Fuest) porti ad un ammorbidimento delle posizioni del governo Merkel, consentendo di pervenire a un compromesso accettabile da tutti e che salvi l’Unione europea.

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