Oltre a Roberto Speranza è senza dubbio Giancarlo Giorgetti il ministro, dello Sviluppo economico, del neo governo Draghi, ad essere immediatamente chiamato agli straordinari ancor prima che l’esecutivo ottenga la necessaria fiducia parlamentare per iniziare legittimamente a governare. Che con l’anno entrante, con la fine della moratoria e della garanzia statale sui prestiti, fosse proprio il Mise ad essere uno dei dicasteri più sollecitati dalla congiuntura c’era da aspettarselo. Ma che Giorgetti si ritrovasse immediatamente con ben cinque patate bollenti da risolvere nelle prossime settimane, era poco prevedibile.
La prima: l'ex Ilva. Mentre l’intero accordo tra ArcelorMittal e lo Stato è in stallo in attesa del decreto Mef che autorizzi l’ingresso di Invitalia con 400 milioni, è scoppiata la grana Tar. Dopo che sabato, il Tribunale amministrativo di Lecce ha confermato la chiusura entro 60 giorni degli altiforni (i reparti Acciaierie, Cokeria, Agglomerato, Altoforni, Gestione Materiali Ferrosi e Parchi minerali) della fabbrica di ArcelorMittal perché troppo inquinanti, la Confindustria è scesa in campo chiedendo di evitare lo spegnimento del ciclo integrale a caldo. La confederazione presieduta da Carlo Bonomi ha sottolineato "quattro aspetti essenziali di interesse nazionale" per cui è necessario che il Governo Draghi provi a evitare lo stop.
Il primo è che interrompere la produzione e la fornitura dell'acciaio prodotto a Taranto mette in seria difficoltà le filiere della manifattura italiana che ne hanno necessità. Un secondo argomento è il "sicuro e rilevante aggravio della bilancia commerciale" in conseguenza di maggiori importazioni di acciaio dall'estero a seguito dello spegnimento degli impianti a Taranto. Un terzo motivo è che la chiusura nell'immediato vanificherebbe tutti gli sforzi compiuti per limitare il numero di esuberi, mettendo a serio rischio migliaia di lavoratori e famiglie.
Un ulteriore motivo, infine, è che verrebbe "vanificato in maniera traumatica e definitiva il processo di investimenti intrapreso per la messa in sicurezza degli impianti e per la sostenibilità ambientale della produzione che, da oltre 8 anni, è al centro degli sforzi pubblici e privati per l'ex Ilva.
La seconda grana è il licenziamento dei 400 lavoratori della ex Embraco di Riva di Chieri che l'azienda in crisi di liquidità ha confermato, dipendenti dal futuro incerto per cui, hanno denunciato oggi i sindacati chiamando esplicitamente in causa proprio Giorgetti, è necessaria un'eventuale proroga degli ammortizzatori sociali e l'eventuale utilizzo della cassa per Covid, da autorizzare dai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico.
Oltre a garantire un nuovo futuro professionale ai 330 lavoratori dello stabilimento Whirlpool di Napoli che il colosso americano del bianco ha deciso di chiudere dopo un lungo tira e molla (il 31 marzo scatteranno i sigilli agli ingressi), Giorgetti dovrà poi far saltar fuori a breve circa 6,7 miliardi per gli incentivi del piano Transizione 4.0, varato con l'ultima legge di Bilancio, soldi che nelle intenzioni dell’ex ministro Stefano Patuanelli sarebbero dovute entrare nel prossimo decreto ristori sfruttando una parte dei 32 miliardi di nuovo deficit autorizzati a inizio anno dal Parlamento.
Infine, c'è il dossier Alitalia, per cui va pubblicato il bando di gara richiesto (per la discontinuità) dall'Unione europea per il passaggio di alcuni asset dalla vecchia compagnia in amministrazione straordinaria alla newco Ita e per cui è necessario dare immediate risposte alle nuove tensioni finanziarie: la crisi di liquidità mette in forse già gli stipendi dei lavoratori.
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