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Economia
Subprime , lo spettro si riaggira in Italia.Torna la voglia di derivati


Chi si aspettava un taglio dei tassi da parte della Bce a inizio febbraio, è rimasto deluso, ma secondo molte case d’investimento, tra cui Credit Suisse, l’appuntamento è solo rimandato di un mese, ai primi di marzo, quando Mario Draghi avrà a disposizione anche i dati sul Pil di Eurolandia e le previsioni aggiornate del suo staff di economisti relative alla dinamica dei prezzi al consumo da qui al 2016. Eppure lo stesso Draghi, nel commentare la decisione di rimanere alla finestra ma “pronti a utilizzare qualsiasi misura necessaria, in base alle necessità”, non ha nascosto un certo disappunto: nonostante le amorevoli cure della Bce le banche europee, in particolare quelle italiane e spagnole, continuano a prestare poco o niente della massa di denaro che hanno ricevuto negli ultimi due anni.

La cosa non deve stupire, perché nel frattempo, complice una crisi economica che la “cura letale” della repressione fiscale promossa dalla “troika” Bce-Ue-Fmi sotto la pressione di Berlino non ha fatto altro che accentuare, le sofferenze delle banche del Sud Europa non si sono ridotte, semmai ampliate. Tanto che pur a fronte di una stretta sul credito che continua a vedere mese dopo mese calare prestiti a famiglie e imprese nonostante i depositi continuino a crescere, i crediti “problematici” in Italia sono arrivati a superare i 150 miliardi di euro a fine novembre scorso e che la stessa Banca d’Italia valuta che possano arrivare a raddoppiare, con un rischio lordo complessivo del sistema creditizio tricolore visto salire a 300 miliardi prima che sia lecito attendersi un successivo calo verso più rassicuranti livelli.

Inevitabile, dunque, che le banche, che in queste settimane vedono avviarsi anche le procedure di indagine e di stress test previste dall’Asset quality review curata dalle singole banche centrali nazionali sotto la guida della Bce, nonostante gli appelli di Draghi stiano seriamente pensando, e in certi casi attuando, ulteriori cessioni di asset a rischio vuoi cedendo attività “non core”  vuoi collocando portafogli di crediti più o meno a rischio. Tra le prime a muoversi in queste settimane sono state UniCredit, che prima ha ceduto un portafoglio da 950 milioni di euro di crediti problematici al fondo Cerberus e poi ha fatto il bis trasferendo altri 700 milioni di crediti problematici “pro soluto” ad un fondo gestito da European Anacap Financial Partners, e Intesa Sanpaolo, che negli scorsi giorni ha ceduto pro soluto di un portafoglio di sofferenze per un ammontare di circa 1,64 miliardi di euro.

Procedere in questo modo apre un nuovo business a intermediari specializzati come Mediobanca, che infatti starebbe pensando a uno o più fondi da lanciare entro l’estate e che rileverebbero sia i crediti “a rischio” di Piazzetta Cuccia, sia di almeno un altro istituto di medie o piccole dimensioni. Questo, però, rischia di essere un processo lungo e oneroso per le banche, basti pensare che i prezzi di cessione sono di solito pari al valore di libro netto rettificato (che a seconda dei casi oscillano tra l’8% e il 16%) e che soltanto Intesa Sanpaolo ha a bilancio 55 miliardi di crediti problematici lordi (30,8 miliardi netti). Per questo la soluzione potrebbe essere differente, almeno per quella parte di crediti (mutui) legati ad asset immobiliari che, complice un calo dei prezzi degli immobili che in tutta  Italia è proseguito anche nel 2013 (anzi accentuandosi leggermente nel secondo semestre dell’anno appena concluso), potrebbero a breve aumentare ulteriormente di criticità.

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