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Economia
Generali, dossier in UniCredit. Quando Orcel sussurrò a Messina il no all'Ops

Negli ultimi giorni il rumor aveva iniziato a circolare con insistenza. Sia nella City milanese sia nei palazzi romani. Rumor, oltretutto, propiziato da un report ad hoc di Morgan Stanley sfornato, in una curiosa coincidenza, a metà aprile, proprio nel giorno in cui Andrea Orcel ha preso ufficialmente in mano le redini della banca. Nel paper gli analisti finanziari a stelle e strisce avevano già benedetto la fusione delle fusioni: anche se complessa e con elevati rischi di esecuzione, scrivevano da Morgan Stanley, un merger fra UniCredit e Generali “potrebbe essere razionale dal punto di vista industriale” in particolare per il gruppo di piazza Gae Aulenti a caccia di ricavi soprattutto commissionali per cercare di controbilanciare un margine d’interesse che stenta a riprendersi nella lunga era dei tassi bassissimi e per recuperare il gap con il diretto concorrente Intesa. Istituto che invece sulla bancassurance e sul cross-selling allo sportello ha costruito buona base della sua redditività.

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Secondo quanto si vocifera fra i numerosi dossier M&A che Orcel avrebbe sul tavolo c’è anche quello del mega-merger con le Generali. Due voci e numeri su tutti, secondo le indiscrezioni, che lo giustificherebbero: l’andamento e la composizione dei ricavi. Nel 2020 il “fatturato” complessivo del sistema bancario italiano è sceso dagli 82 miliardi del 2019 ai 78,1 miliardi dell'ultimo esercizio. E sul totale dei ricavi, gli incassi delle banche legati ai prestiti (margine d’interesse) si sono attestati a quota 38,7 miliardi (il 49,5%), meno rispetto agli “altri ricavi”, che hanno raggiunto i 39,4 miliardi (50,5%), dei quali 29,9 (38,4%) miliardi derivanti proprio dalle lucrose commissioni. Ebbene quanto basta per convincere, riportano le indiscrezioni, il Ronaldo dei banchieri (così viene appellato Orcel nell'ambiente), un autentico fuoriclasse del grande M&A, a valutare il dossier. 

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E' proprio così? UniCredit dunque si prepara al coup de theatre autunnale nella finanza tricolore muovendo verso una compagnia che capitalizza circa tre miliardi in più di lei (24,2 miliardi Piazza Gae Aulenti, 27 Generali)?

Anche se c’è chi fa notare come a facilitare l’operazione ci sarebbe anche la doppia presenza nell’azionariato del Leone e di UniCredit dei grandi sponsor dell’arrivo del banchiere romano in UniCredit (Fondazione Crt e Leonardo Del Vecchio, nuovo dominus fra i soci di Mediobanca), chi conosce bene Orcel ed ha lavorato a stretto contatto con lui, ricorda come a febbraio 2017 fu proprio il banchiere capitolino di formazione anglosassone a suggerire a Carlo Messina di accantonare la scalata di Intesa-Sanpaolo sulle Generali, nonostante la prima banca italiana capitalizzasse, prima dell'ufficializzazione del proprio interesse, 20 miliardi in più del gruppo assicurativo. Consigli che Messina seguì dopo essersi fatto affiancare, per l'advisory, da Ubs, il cui corporate&investment banking era guidato appunto dal banchiere capitolino. Con cui Messina, oltre a un rapporto di reciproca stima, aveva già lavorato proprio sul dossier Generali.

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Il Ceo di UniCredit Andrea Orcel

Nel 2013, poco dopo l’arrivo in Ca' de Sass per sostituire Enrico Cucchiani, il capo di Intesa si fece aiutare proprio da Orcel (Ubs joint book runner del collocamento) per uscire dal salotto buono di Trieste piazzando l’1,3% dal capitale in portafoglio. E lo stesso Orcel in passato aveva già lavorato a fianco di Intesa nella grande fusione del 2007 con il Sanpaolo Imi.

Le possibili combinazioni industriali per creare il campione europeo del risparmio gestito con forte presidio dell'Italia "non creerebbero distribuzione di valore per gli azionisti, in coerenza con l’obiettivo di mantenimento della leadership di adeguatezza patrimoniale”, fu all'epoca il giudizio definitivo sussurrato da Ubs con cui Intesa accantonò l'operazione Generali. Le fonti spiegano che l'attuale parere di Orcel sul dossier che dunque conosce bene non sarebbe cambiato. 

@andreadeugeni

 

 

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