Economia
Generali-Natixis, l’effetto Mps–Mediobanca ridisegna il Leone. Soci e governo sbarrano la strada ai francesi, ora Trieste prepara un polo tutto italiano
La trattativa tra Generali e Natixis salta dopo mesi di lavoro: la fusione che avrebbe cambiato la mappa del risparmio gestito non si farà. Ecco che cosa c'è dietro

Generali, stop all’intesa con i francesi: le mosse Mps–Mediobanca cambiano la rotta del Leone
Doveva essere il colpo del secolo nel risparmio gestito europeo: un matrimonio italo-francese che avrebbe unito Generali e Natixis in un polo da quasi 1.900 miliardi. Un progetto che era pronto a correre dritto al traguardo, sventolare la bandiera del nuovo campione continentale e sfidare (per una volta da protagonisti) i big globali del settore. Invece la corsa si è interrotta sul più bello, a pochi metri dalla fine, forse anche travolto da un risiko bancario incrociato che inevitabilmente ha cambiato gli equilibri e ribaltato gli umori.
Prima Unicredit su Bpm, poi Mediobanca su Banca Generali, quindi Mps che punta proprio Mediobanca, unica a chiudere davvero il colpo; un incrocio di mosse e contromosse che ha finito per schiacciare anche l’asse Trieste-Parigi, perché alla fine, in questa partita, il vero "bottino" non era Bpm né Piazzetta Cuccia, ma proprio Generali, l'asset che tutti volevano direttamente o indirettamente condizionare, con Caltagirone e Delfin a vigilare come guardiani del faro e il governo attento a ogni cambiamento di rotta.
Ma per arrivare (forse) alle conclusioni finali, dobbiamo ripercorrere prima tutta la strada. Generali e Bpce, casa madre di Natixis, hanno comunicato ufficialmente la fine del negoziato, ma che cosa prevedeva davvero quest'intesa? Sulla carta l'operazione aveva più che senso, creare un polo europeo, tagliare i costi, unire le competenze e mettere Bruxelles sullo stesso livello di chi finora ha comandato, gli americani. Ma poi è arrivata la nota congiunta che ha gelato tutto: per quanto l’operazione avesse senso, non ci sono le condizioni tali per un accordo definitivo.
Quali sono queste condizioni, che cosa ha reso la strada impercorribile? Giuseppe De Falco, avvocato specializzato in diritto societario e finanza, spiega ad Affaritaliani che "dopo il perfezionamento dell'acquisizione di Mediobanca da parte di Mps e quindi nel mutato azionariato di Generali, prevale un sentiment contrario all'operazione in piena saldatura con la contrarietà del governo all'intesa con Natixis". Aggiungendo: "Il contrasto sugli altri dossier appare più come un prodromo, preparatorio del mutamento degli equilibri interni a Generali, che come un vero conflitto a differenza dell'alleanza con Natixis, che invece era un progetto importante ma indigesto per diversi attori, economici e politici". In altre parole la fusione non sarebbe saltata per un litigio dell’ultimo minuto, ma molto probabilmente dopo Mps-Mediobanca, il vento sulle Generali è cambiato e forse l’operazione con i francesi ha causato più di un'ostilità interna ed esterna.
Che i grandi soci del Leone e lo Stato si siano messi di traverso? Secondo Gianluigi Serafini, partner GA Alliance: "Pur non essendo state rese pubbliche al mercato le ragioni, è dato credere che la decisione possa dipendere da questioni di governance inerenti le modalità di controllo degli asset patrimoniali tenuto conto che gli stessi contengono anche significative quote del debito pubblico italiano". Certo che il controllo del risparmio degli italiani sia un nervo scoperto per il governo Meloni è innegabile, non a caso, si era parlato di golden power anche su quest'operazione. Ma la verità è che anche Delfin e il gruppo Caltagirone non avevano mai davvero visto di buon occhio l'eventuale progetto con i francesi, e si sa, una joint venture di questa portata non si costruisce di certo con azionisti divisi.
Ma quanta forza hanno davvero avuto le riserve di Caltagirone e Delfin? Le tensioni su Banca Generali o Mediobanca hanno pesato anche qui? Per Serafini è evidente "la diversità strategica fra l’attuale management e i soci di riferimento Caltagirone e Delfin, nonché con il governo italiano che opera tramite il MEF; del resto l’operazione MPS-Mediobanca aveva implicitamente come destinazione finale la volontà di fornire diversi indirizzi strategici al gruppo Generali. Alla luce delle precedenti valutazioni del governo in materia di Golden Power sugli istituti di credito era ragionevole pensare che potessero essere dati degli stop preventivi all’operazione Natixis. Appare rafforzata da questa decisione la volontà di mantenere le gestioni patrimoniali italiane sotto il controllo di istituti italiani".
E allora ecco che si capisce quali sono davvero quelle famose condizioni tali da non permettere che l'operazione andasse avanti: non c'era il contesto ideale per costruire un super polo europeo. Il governo era contrario, e mai restio ad applicare il golden power (così come ha fatto con Unicredit), ma erano anche forti le perplessità dei soci del Leone, con Caltagirone al 6,9% e Delfin al 9,9%, entrambi ora anche azionisti di Mediobanca post-Ops Mps con circa il 13,1%. Troppi interessi divergenti, troppa incertezza, troppe voci in capitolo.
Su un punto, almeno, Generali ha tirato un sospiro di sollievo: nessuna penale da pagare, Trieste infatti assicura che non ci sarà alcun impatto sui conti e che gli obiettivi del piano "Lifetime Partner 27: Driving Excellence" restano validi. La famosa penale da 50 milioni era stata infatti cancellata a settembre, quando le due società avevano concordato di prolungare le trattative fino a dicembre. E in quello stesso mese era stato anche firmato un addendum al Memorandum of Understanding dove si ribadiva che l’accordo sarebbe dipeso strettamente dal sì dei rispettivi cda; un dettaglio che dettaglio non era, perché era già un chiaro avvertimento che la politica interna avrebbe deciso tutto. E infatti così è stato.
A questo punto viene inevitabile chiedersi cosa succederà a Philippe Donnet considerando che il suo mandato e quello del cda scadrà nel 2028. Su questo De Falco non vede margini: "Credo che nulla possa cambiare sotto questo aspetto. La mossa di Donnet è quasi obbligata e sostanzialmente si tratta di una presa d'atto del mutato clima in Generali. Non credo che sia sufficiente a preservare l'attuale governance". Serafini invece è ancora più netto: "La posizione di Philippe Donnet mi sembra sempre più critica, in quanto le distonie con i principali soci e con il governo italiano su dossier strategici come quello di Natixis sembrano acuirsi. Del resto, alla luce del cambio di controllo su Mediobanca, era più che prevedibile che i soci Caltagirone e Delfin volessero una forte discontinuità rispetto all’attuale management".
Ora senza Natixis, Generali dovrà rivedere i propri piani, ma come si muoverà? Serafini immagina un percorso interno: "Credo che il gruppo Generali si concentrerà sul programma di Seed Money e su progetti di crescita organica affrontando sostanziosi investimenti in tecnologia, reti distributive e competenze tecniche, potrebbe essere confermato l’interesse già dichiarato al mercato di acquisizioni di asset manager americani di medie dimensioni". De Falco pensa invece a una soluzione Made in Italy: "Credo che bisognerebbe guardare a possibili soluzioni nazionali che ruotino nella galassia Mps-Mediobanca forse con l'apporto di attori italiani dell'asse Bpm/Anima, appena si trovi – e ammesso che si trovi – una soluzione alle pretese di Credit Agricole".
