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Economia
Insediamento Trump, i 5 fattori per giudicare il nuovo presidente


Da quando Donald Trump è stato eletto presidente al giorno prima che venisse ufficialmente insediato alla Casa Bianca il listino di Wall Street ha guadagnato il 6%, ma il difficile per l'ex immobiliarista milionario americano arriva adesso. La "Trumpnomics" per ora è un miscuglio di annunci discordanti sparati in rete a colpi di tweet con cui il nuovo presidente tenta di muovere i mercati oggi con la minaccia di prendere altrimenti provvedimenti domani.
Servono posti di lavoro? Si minacciano dazi alle importazioni e si promettono sconti fiscali per chi tornerà a investire negli Usa e un manipolo di grandi aziende rialloca parte della propria produzione per compiacere il nuovo inquilino della Casa Bianca. Il dollaro è troppo forte e minaccia la crescita? Lo si dice ai quattro venti e lo si indebolisce per qualche ora. Le case farmaceutiche hanno beneficiato dell'odiata riforma sanitaria di Barack Obama? Si minacciano ritorsioni e si promette di smantellare la riforma.
Quello che ancora nessuno è in grado di dire è se la Trumpnomics funzionerà, per quanto e in che misura, visto che gli Stati Uniti sono ormai al settimo anno consecutivo di crescita, gli spazi per un ulteriore incremento della produttività sono limitati e il deficit di bilancio è già a livelli astronomici e riduce la possibilità di fare una politica fiscale strutturalmente espansiva.
Secondo gli esperti sono almeno 5 gli indicatori che si dovranno tenere sotto controllo per capire se Donald Trump starà riuscendo davvero a "rendere l'America di nuovo grande" o se si sarà trattato solo di propaganda. Oltre all'andamento di indicatori già da tempo noti come il Pil, le paghe e il deficit commerciale, altre metriche significative saranno l'ampiezza della creazione di nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero (e più in generale nell'intera economia) e la percentuale di lavoratori di "media età" (tra i 24 e i 54 anni) sul totale, percentuale che da anni sta continuando a calare ingrossando le file di coloro che il lavoro neppure lo cercano.
Secondo le attuali attese, la sfida per Trump sarà particolarmente dura proprio per quanto riguarda il mercato del lavoro. Dal 2009 a oggi i lavori nel settore manifatturiero sono già tornati a salire, ma Trump ha promesso di fare di più, molto di più. Peccato che i posti persi per l'automatizzazione di alcune produzioni (o il loro trasferimento all'estero per motivi legati alla domanda e non solo ai costi) difficilmente potranno tornare indietro. Inoltre anche il settore manifatturiero richiede lavoratori sempre più formati, mentre il dollaro forte rende meno conveniente produrre negli Usa che non in molti altri paesi al mondo
Anche ridurre il deficit commerciale non sarà una passeggiata: secondo Trump 500 miliardi di dollari di deficit commerciali sono lì a indicare che Cina e Messico hanno giocato sporco e hanno sottratto posti di lavoro agli Stati Uniti, per questo ha minacciato di reintrodurre politiche protezionistiche, che però danneggerebbero gli utili aziendali, finirebbero col rafforzare spinte inflazionistiche e rallenterebbero la crescita economica americana.
Al di là della retorica populista, come minimo Trump deve attendersi ritorsioni dai paesi che fossero colpiti dalle sue "nuove" politiche, che potrebbero sfociare in vere e proprie "guerre commerciali". Ma se anche tutto questo non avvenisse e Trump avesse successo, il rafforzamento della crescita Usa porterebbe con sé il rafforzamento del dollaro (anche per il progressivo innalzamento dei tassi da parte della Federal Reserve) e questo renderebbe meno convenienti le esportazioni e più convenienti le importazioni, ampliando nuovamente il deficit commerciale.
Ultima ma non meno impegnativa sfida, come sarà possibile ridurre il deficit di bilancio (che dopo essersi ridotto costantemente dal 2009 e riavvicinato al 2% del Pil, lo scorso anno è già rimbalzato al 3,1%) e al tempo stesso aumentare la spesa pubblica in infrastrutture e tagliare le tasse è un mistero che per gli economisti rasenta il miracolo della trasformazione di acqua in vino. Io dubbi non mancano anche per quanto la forza e durata della crescita: nel terzo trimestre del 2016 il Pil è salito ad un tasso annualizzato del 3,5%, mentre Trump vorrebbe che tornasse sopra il 4%. Nessun economista si sente di escluderlo, visto che molto dipenderà dagli stimoli che concretamente la nuova amministrazione saprà varare e da quando entreranno in vigore, ma è dal 2005 che il Pil Usa non sale oltre il 3% all'anno e qualcosa vorrà dire.
Vi è poi il capitolo della più equa distribuzione di ricchezza, un cavallo di battaglia di molti leader populisti anche in Europa: Trump vuole ridurre al minimo il numero degli americani che vivono sotto la soglia di povertà e dopo sette anni di ripresa potrebbe avere gioco facile. Ma a fine 2015 la percentuale di poveri negli Usa era pari al 13,5%, vicina alla media a 40 anni ma ancora distante dall'11,3% toccato nel 2000.
Qualche maggiore probabilità viene assegnata all'idea di Trump di deregolamentare molti settori per favorire la nascita di nuove imprese. In effetti è dal terzo trimestre del 2010 che il numero di nuove imprese è tornato a superare il numero di cessazioni di attività e da allora il gap è costantemente salito; anche così la crescita di nuove aziende resta a livelli inferiori a quelli pre-crisi 2008, quindi per molti economisti non c'è da attendersi un boom stile anni sessanta.
Altra sfida che Trump potrebbe vincere sembra essere quella per una trasformazione di una parte dei posti di lavoro part-time in posti a tempo pieno. Trump più volte ha detto che ci sono troppi lavoratori in America che sono sovra qualificati o sottopagati per le mansioni che svolgono. Questo sembra in parte dovuto alla "gig economy" (l'economia fatta di "lavoretti") in parte legata all'emergere di startup più che alla crescita di aziende consolidate. Se la crescita riprenderà vigore si potrà vedere un numero maggiore di imprese trasformarsi e adottare modelli di impiego meno precari, ma non è detto che questo avvenga in modo massiccio.
Infine, vi sono alcuni punti su cui Trump dovrebbe poter far leva e che giustificano l'attesa nel complesso positiva che il mercato ha riservato al nuovo presidente. Sia le grandi aziende sia le piccole e medie imprese dovrebbero tornare a investire di più, dopo che negli ultimi due anni gli investimenti sono continuamente calati. Questo a sua volta favorirà la tendenza, già in essere, a pagare meglio i dipendenti (le paghe orarie l'anno scorso sono già salite del 2,9% contro il 2,1% annuo registrato in media dal 2009 a oggi). Infine i lavoratori di media età potrebbero tornare a cercare attivamente lavoro, e trovarlo, se Trump varerà come promesso provvedimenti per favorire la cura dei figli, favorendo il reinserimento nel mercato del lavoro in particolare delle donne lavoratrici con famiglia.
 

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