Economia
"L’IA ruba il lavoro? Solo hype: una 'scusa' delle Big Tech per attrarre investitori. L’uomo resta indispensabile"
Dietro i licenziamenti nel tech non c’è solo l’intelligenza artificiale, ma un riassetto profondo del mercato del lavoro. L'intervista a Luca Solari, Professore di Organizzazione Aziendale presso Unimi

Tagli al personale, l'esperto: "Non è l’IA che ruba i posti, è il sistema che si riorganizza e l’uomo torna protagonista"
Da Amazon a Meta, da Google a Microsoft, le aziende parlano di "riorganizzazione" e di investimenti nell’intelligenza artificiale come ragione dei tagli al personale. Ma è davvero l’IA a rubare il lavoro? O sta accadendo qualcosa di più complesso, un cambiamento strutturale che riscrive le regole del lavoro stesso? Ne abbiamo parlato con Luca Solari, professore ordinario di Human Resource Management and Innovation all’Università Statale di Milano.
"Alcuni dei dati di riduzione in realtà sono spalmati su anni. Penso a quelli di Amazon, di Meta e di altri. Va detto perché ho come la sensazione che si confonda una riduzione, che potrebbe essere semplicemente di copertura del turnover su un arco di tempo abbastanza lungo, con una vera e propria azione di downsizing. In molti casi stiamo parlando di comunicazioni relative a piani con orizzonti temporali lunghi". Secondo Solari, insomma, il fenomeno dei licenziamenti non va letto come un’ondata improvvisa, ma come un processo diluito nel tempo e spesso legato a strategie di lungo periodo. Una distinzione fondamentale per comprendere che dietro ai grandi numeri si nascondono dinamiche di mercato e non necessariamente un collasso. "Perché lo sottolineo? Perché molto di questo è costituito da proiezioni future legate al fatto che l’effettivo impatto dell’intelligenza artificiale, nell’immediato, è ancora abbastanza limitato. Ovviamente, esistono organizzazioni che devono assumere competenze specifiche in quest’ambito. Chi intende vendere nei prossimi anni soluzioni basate sull’IA deve sostituire parte del suo personale con persone con quelle competenze. Tuttavia, se togliamo questa fetta, siamo ancora molto lontani da applicazioni stabili in grado di sostituire realmente il lavoro umano". L’intelligenza artificiale, dunque, non è la falce che miete posti di lavoro, ma un fattore di transizione. "Gran parte di quello che sentiamo sono stime probabilistiche che guardano al futuro. Quindi, le riduzioni che vediamo oggi sono soprattutto correzioni di rotta", aggiunge Solari. "L’intelligenza artificiale potrebbe avere impatti nel medio e lungo termine, ma oggi viene chiamata in causa perché è comodo dal punto di vista delle organizzazioni per due ragioni: la prima, per dare un segnale agli investitori, immersi nella "follia" dell’IA; la seconda, per proiettarsi nel futuro", Sembra quindi che parlare di IA serva non solo a giustificare riorganizzazioni interne, ma anche a rassicurare i mercati e attirare capitali. "Non c’è da creare allarmismo come molti scrivono. Tutti i dati evidenziano come le proiezioni di adozione e di impatto effettivo sulla produttività e sull’organizzazione del lavoro siano molto più basse rispetto all’hype che si è costruito. È una narrazione gonfiata, come accadde con le start-up digitali: serve a mantenere alta la percezione di valore per chi investe". Quando si parla di sostituzione dell’uomo con le macchine, Solari invita alla prudenza. "L’idea che possa sostituire processi cognitivi complessi non ha un fondamento scientifico. Chi analizza seriamente la tecnologia sa che questa prospettiva è irrealistica: basta conoscere un po’ di statistica per capire cosa c’è dietro. Certo, nel futuro può succedere di tutto, ma oggi non ci sono elementi che mostrino questa possibilità, semplicemente perché l’IA non è un meccanismo senziente." "È vero, però, che l’introduzione dell’IA modifica le organizzazioni. Da un lato si teme una svalutazione dell’umano, dall’altro emerge il bisogno opposto: rassicurare le persone. Una delle problematiche principali è la paura legata alla scarsa conoscenza di queste tecnologie. E sappiamo che nei sistemi organizzativi non esistono tecnologie sostitutive al 100%, esistono piuttosto tecnologie che sostituiscono fasi e parti, ma se non c’è collaborazione con l’elemento umano, nessuna organizzazione può funzionare. Paradossalmente, questa fase sembra riportare al centro l’uomo, rivalutando ciò che lo rende unico e differente anche nei processi organizzativi". Il paradosso, quindi, è che la spinta tecnologica sta generando un rinnovato bisogno di "umanità" nelle aziende. Ma guardando al futuro, Solari individua anche come potrebbe evolvere il mercato del lavoro. "Nell’arco di cinque anni una delle correzioni di mercato sarà la normalizzazione del valore delle competenze tecniche legate ai data analytics e al digitale, oggi sovrastimate rispetto al loro impatto reale. Parallelamente, si sta creando un mercato del lavoro a due velocità: da un lato, il lavoro ideativo e creativo, di pensiero; dall’altro, quello operativo e manuale". "Se qualcuno oggi mi chiedesse come guadagnare bene nei prossimi dieci anni, gli direi due cose: acquisisci competenze sull’innovazione, sul digitale e sull’intelligenza artificiale; oppure diventa gruista o carrellista, ad esempio, perché si tratta di attività tecniche difficilmente sostituibili, e per questo sempre più rare e preziose. È un dramma per molte organizzazioni, ma è la realtà del mercato".LEGGI QUI TUTTE LE NEWS DI ECONOMIA
