Tesla e il boom borsistico, attenti all'illusione dell'auto del futuro - Affaritaliani.it

Economia

Tesla e il boom borsistico, attenti all'illusione dell'auto del futuro

Di Gianni Pardo

A volte un singolo dato basta a porre un problema epocale. Leggo su “Affaritaliani”: “Un anno fa il valore in Borsa di Tesla era di 221,71 dollari ad azione, oggi il titolo è salito a 2213,40 dollari”. Dieci volte tanto. E l’analista del giornale si chiede: “È una bolla speculativa? Scoppierà, come altre in passato?” Se non può rispondere lui, a questo interrogativo, figurarsi io. Ma mi piace vedere il significato di questa straordinaria quotazione di Borsa. 

Tesla produce auto elettriche. Le auto elettriche costano moltissimo, hanno una scarsa autonomia e richiedono tempi lunghi di ricarica. E questo ne ha grandemente frenato le vendite. In compenso, c’è un consenso universale per decantarne i meriti, lodarne la correctness ecologica, indicarla costantemente non soltanto come l’inevitabile futuro, ma come un futuro estremamente desiderabile. Gli altri fabbricanti di automobili pagano fior di soldoni, per farsi pubblicità, e l’accogliamo con scetticismo; Tesla non ha bisogno di pagare nessuno, perché tutti i media sono impegnati ad esaltare il suo prodotto. Questo è un fenomeno straordinario, ma non nuovo.

I regimi dittatoriali, disponendo di ogni potere, ne approfittano per ridurre al silenzio qualunque voce critica, mentre tutte le voci autorizzate coprono di lodi chi guida il Paese. Alla lunga, anche se i governanti sono personaggi indiscutibilmente negativi, la propaganda finisce col fare breccia. Come diceva Lenin, “una bugia infinitamente ripetuta prende il posto della verità”. 

E tuttavia questo consenso rimane fragile e rischia di sbriciolarsi se appena un bambino grida che il re è nudo. Dopo settant’anni di indottrinamento, la Russia ha rinnegato per sempre il comunismo senza lasciare un briciolo di nostalgia né nel suo popolo, né in tutti i Paesi in cui, con la violenza totalitaria, ha cercato di imporre il proprio modello. 

La lezione di questi fenomeni è che si può avere un consenso oceanico perché imposto con la forza, si può avere un consenso oceanico perché una certa tesi è di moda (come l’ecologismo spinto) ma il problema vero rimane: quel consenso è fondato sulla realtà o sull’illusione? E se è fondato sull’illusione, quanto tempo ci vuole, perché si dissolva? Nel caso della favola degli abiti nuovi dell’imperatore, il grido del bambino è servito soltanto a indurre la gente a credere piuttosto ai propri occhi che a ciò che le era stato detto e ripetuto. Ma non sempre bastano gli occhi, per riconoscere la verità. Soprattutto quando questa non riguarda il presente ma il futuro.

Un’azione, in Borsa, non vale quanto vale l’impresa di cui rappresenta una particella di capitale, ma quanto ci si aspetta che varrà domani. Infatti se oggi l’azione è quotata cento e si pensa che domani sarà quotata centodieci, mi conviene comprarne altre, per guadagnare dieci ognuna; se viceversa temo che domani sarà quotata novanta, cercherò di disfarmene al più presto. Purtroppo per me, anche gli altri fanno lo stesso ragionamento. Se dunque tutti pensiamo che le azioni di quella società caleranno, e cercano di venderle, con ciò stesso, ne aumentano l’offerta e ne diminuiscono il valore. Così, se quell’azione doveva calare del 10% magari calerà del 20, del 30 o del 90 per cento. E se prima, con le aspettative rosee, era salita troppo, ora, con le previsioni pessimistiche, magari scende troppo. È questo lo scoppio della bolla speculativa.

Se dunque un’azione sale in maniera anormale non significa che la società, da che valeva uno, vale tre, ma che, secondo le previsioni, in futuro farà grandi profitti e distribuirà grandi dividendi. Ecco perché la definizione più banale ma anche più azzeccata della Borsa è: “Il termometro del tempo che farà domani”. E, come con ogni previsione, si rischia di sbagliare. Infatti in Borsa sbagliano anche i grandi analisti e i grandi fondi di investimento. Di sicuro, in quel mondo, c’è soltanto il rischio. 

Il boom borsistico della Tesla non significa che stia avendo chissà che successo commerciale (chi di voi riconoscerebbe una Tesla da lontano?) ma che si presume lo avrà. 

La Borsa è il tempio del denaro e si potrebbe pensare che sia dunque il tempio del realismo. Ma è tutto il contrario. Essa vive di impressioni sul presente e di previsioni per il futuro: due materie fra le più scivolose e pericolose su cui ci si possa imbattere. Dunque la prospettiva che la Tesla sia destinata a chissà quali successi potrebbe effettivamente realizzarsi, come potrebbe non realizzarsi. Sopratutto tenendo conto della mazzata che il Covid-19 ha inferto al mondo intero. 

Fra l’altro, l’automobile moderna è un bene di consumo, ma un bene molto resistente. Se sono ricco e seguo la moda, sarò indotto a cambiare automobile ogni due-tre anni; se sono povero, posso tenermi anche una macchina vecchia di vent’anni “che va ancora bene”. La domanda delle automobili è una domanda flessibile – come si è visto anche in occasione di questo Coronavirus – e non ci mette niente a calare drammaticamente. 

In conclusione, attenderei ancora un paio d’anni, o magari un lustro, per vedere se effettivamente la Tesla si metterà a vendere auto come panini, invadendo i mercati. O se, stancandosi i media di pubblicare ditirambi su questa “auto del futuro”, la gente si accorgerà che la vecchia Panda a benzina che ha in garage è ancora tutto ciò che le serve.