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Economia
Lavoro, "Il part-time avvantaggia più le imprese che le donne"
economista Paola Villa

“Le donne soffrono di discriminazione ancora prima di diventare madri. L’impiego di contratti a termine e soprattutto part-time non è un modo per venire incontro ai loro problemi. Con la normativa vigente, infatti, questi contratti sono diventati convenienti soprattutto per le imprese”. Ne è convinta Paola Villa, economista dell’Università di Trento. Affaritaliani.it le ha chiesto quale prospettiva si apra adesso per loro con il Pnrr, tema che la professoressa ha affrontato al Festival di Internazionale a Ferrara. Intervistata dal nostro giornale, Villa dice subito che il vincolo di legge nel Piano per le assunzioni di donne e giovani “è un fatto positivo”, ma ovviamente “saranno fondamentali monitoraggio e controllo. Come saranno bilanciati, per esempio, sesso ed età nelle assunzioni non è chiaro”.

Professoressa, grazie a questo vincolo, però, ci saranno ricadute positive sull’occupazione delle donne.
Non mi aspetto, almeno nell’immediato, un forte impatto sull’occupazione femminile. Il percorso va completato con fondi in legge di Bilancio a vantaggio delle donne. Tenga presente che il vincolo d’assunzione riguarda anche i giovani e che per questi ultimi la soglia è stata innalzata a 36 anni. E’ la prima volta che accade. Poi bisogna considerare pure la grossa fetta di investimenti dedicati a verde e digitale. Ci sarà una domanda di molti ingegneri e informatici e tra questi, si sa, le donne sono poche. Ecco perché è fondamentale il monitoraggio: una volta approvate le misure del Piano si deve poter intervenire in corsa con correttivi e miglioramenti.

In Italia le donne nelle materie Stem sono ancora poche. Il fatto che il Piano investa in queste competenze per colmare il gap di genere può essere d’aiuto?
È un’iniziativa fondamentale. Anche qui la prospettiva è per certi aspetti miope, ancora una volta può essere integrata con la legge di Bilancio. A monte, però, occorre per esempio prima rompere gli stereotipi che sono tuttora forti e che passano dalla scuola e prima ancora dalla famiglia, dove si orientano le figlie a fare certi studi piuttosto che altri.

In che modo?
Sarei per interventi, oltre che sul patrimonio edilizio, sul tempo pieno che sarebbe importante aumentare soprattutto al Sud. E, poi, ritengo necessario anche migliorare il corpo docente: bisogna aumentare gli stipendi degli insegnanti e attrarre pure gli uomini all’interno della scuola. Non ci si può, insomma, limitare a parlare di donne nelle Stem, non ci si può fermare qui. Il percorso è molto più ampio.

Lei sostiene che le donne sul fronte lavorativo sono discriminate ancor prima di diventare madri.
Sì, basta guardare all’impiego di contratti part-time. Anche durante la grande recessione c’è stata una crescita dell’impiego di questa forma contrattuale. Tra le occupate, siamo intorno al 37 per cento. In Europa siamo il Paese che ha la più alta incidenza in assoluto di part-time involontario. Le donne e, come immagino, anche le madri accettano questo tipo di contratto perché non hanno altra scelta.

A questo si aggiunge, poi, un gap salariale.
Sul fronte occupazionale c’è stato un tendenziale aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, seppure con risultati modesti. Sul piano delle retribuzioni, invece, i dati econometrici mostrano che un differenziale salariale esiste: di fatto, a parità di competenze, sono retribuite meno degli uomini.

Ora si apre il capitolo della riforma delle pensioni. Con il superamento di Quota 100 intravede un rischio scalone che può colpire soprattutto le donne, viste le loro carriere discontinue?
Quota 100 è stata una misura sbagliata. A mio avviso, però, si può intervenire, correggere e aiutare non le donne, ma tutte le persone che hanno avuto oneri di cura, con riconoscimenti in termini di contributi o di anni.

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