Mediobanca, il nuovo patto dei soci di poco sopra il 10% del capitale - Affaritaliani.it

Economia

Mediobanca, il nuovo patto dei soci di poco sopra il 10% del capitale

di Marco Scotti

Il posto di Alberto Nagel è a rischio se...

Se a Trieste il duo Del Vecchio-Caltagirone riuscisse a rimuovere Philippe Donnet...


È tempo di bilanci per Mediobanca. Non quelli finanziari, che dipendono dal piano strategico 2019-2023 che è stato approvato dagli azionisti. Semmai, bisogna iniziare a capire quali siano le parti in gioco ora che la posta inizia a salire, visto che mancano tre mesi al rinnovo del consiglio di amministrazione di Generali. Diceva Enrico Cuccia che le azioni si pesano e non si contano, intendo così affermare come non sia tanto la dimensione della partecipazione a fare la forza dell’azionista ma piuttosto la capacità di essere nevralgico.

È stata infatti diffusa la nuova composizione dell’Accordo di Consultazione di Mediobanca sottoscritto il 20 dicembre 2018. Rispetto all’ultimo prospetto, pubblicato il 1° ottobre del 2021, il peso del patto sul capitale totale di Mediobanca passa dal 12,08 al 10,24%. Questo, al di là di qualche normale aggiustamento, a causa della scelta di Schematrentatre S.p.A., il veicolo di Edizione Holding (famiglia Benetton) che detiene il 2,1% del capitale di Mediobanca e che già a settembre aveva annunciato la sua uscita dal Patto.

L’accordo con azioni vincolate si era progressivamente ridotto già nel periodo compreso tra il 2007 e il 2018, quando la percentuale sindacata era scesa dal 46 al 28,5% del capitale. Poi, a dicembre del 2018 stesso il nuovo accordo riduceva ulteriormente il capitale oggetto del patto stesso.

L’annuncio dell’uscita della famiglia Benetton era stata solo in parte bilanciata dall’ingresso di Monge, gigante del cibo per animali da oltre 300 milioni di fatturato e dall’incremento delle partecipazioni di alcuni soci come Gavio e Lucchini. Ma è ovvio che da adesso in poi gli equilibri potrebbero mutare ulteriormente. Il patto è di poco sopra il 10%, ma gli schieramenti iniziano a intravedersi compiutamente.

I blocchi sono sostanzialmente tre: il primo è quello composto da Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone. Il primo ha il 18,9% di Piazzetta Cuccia e vorrebbe salire (almeno) fino al 25%: la Bce glielo permetterà? Poi c’è il finanziere romano, che ha il 3,04 delle quote e che sta aumentando lentamente ma inesorabilmente il suo peso in Mediobanca.

Questo patto d’acciaio tra i due anziani “paperoni” è finalizzato a cambiare gli equilibri finanziari che durano da decenni. E l’accordo sta mostrando la sua forza anche a Trieste, dove la primazia di Mediobanca è sempre più in bilico  mentre Del Vecchio e Caltagirone continuano a rastrellare azioni, facendo leva sulla Fondazione Crt e – forse – anche sui Benetton. I diritti di voto di Piazzetta Cuccia sono al 17,2%, quelli dei due finanzieri, insieme alla fondazione torinese hanno superato il 16 e potrebbero esserci ulteriori sviluppi. Proprio l’uscita dal Patto di Edizione Holding potrebbe venire letta come la volontà della famiglia trevigiana di schierarsi con il duo Del Vecchio-Caltagirone. Se questo succedesse a Trieste, i Benetton porterebbero in dote il loro 3,97% che permetterebbe alla “fronda” di superare il 20%.

Dall’altra parte c’è Alberto Nagel, che è al timone di Mediobanca dall’ottobre del 2008 e che ha sempre avuto un peso notevole nelle scelte strategiche sia di Piazzetta Cuccia, sia del Leone triestino. Il suo posto è a rischio dopo oltre un decennio? Si vedrà, anche perché il consiglio scade il prossimo anno. Ma è certo che se a Trieste il duo Del Vecchio-Caltagirone riuscisse a rimuovere Philippe Donnet, candidato per un terzo mandato alla guida di Generali, ci sarebbe un primo segnale sul possibile futuro del manager milanese. A Trieste Nagel può godere dell’appoggio di De Agostini (in uscita ma con diritti di voto per aprile). Per il resto, si vedrà se l’opera di convincimento per mantenere lo status quo avrà sortito effetti.

Infine, il terzo blocco è quello del patto medesimo, dove spicca la posizione di Mediolanum. Massimo Doris già da tempo ha annunciato che la partecipazione (3,28% del capitale di Mediobanca cui si deve sommare lo 0,51% detenuto da Finprog Italia sempre della famiglia Doris) non è più strategica ma, nel caso, vendibile. Come scrive Il Giornale, infatti, due anni fa l’amministratore delegato disse “preferiamo avere le mani libere”.