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Economia
Mps, costa un monte di soldi: chi compra sborsa altri 3,2 miliardi

Seduta positiva per Mps a Piazza Affari, dove nonostante il calo di circa l’1,8% degli indici generali il titolo dell’istituto senese vive una giornata positiva con un rialzo a lungo superiore al 2% prima dello scattare di qualche presa di profitto che limitano il guadagno a meno dell’1,5% a fine giornata. A impressionare favorevolmente gli investitori sono state le parole del ministro dell’Economia e finanze, Roberto Gualtieri, che ieri ha confermato l’intenzione del Tesoro di rispettare la scadenza di fine 2021 per l’uscita dal capitale di Mps, dove al momento è azionista di maggioranza col 68,2%.

Una percentuale che potrebbe iniziare a calare attorno al 63,8% se dopo la scissione non proporzionale a favore di Amco (l’ex “bad bank” Sga controllata al 100% dal Tesoro) di un portafoglio di 8,1 miliardi di crediti deteriorati lordi (leggermente meno dei 9,7 miliardi di cui si parlava fino a qualche settimana fa) gli azionisti di minoranza di Siena, tra cui Generali, dovessero optare per non farsi assegnare le azioni Amco (destinata a fondersi per incorporazione col veicolo a cui sono stati girati gli Npl) e quindi aumentare proporzionalmente la loro partecipazione nella banca senese, dal 31,75% attuale fino ad un massimo di poco superiore al 36%.

La stessa operazione di de-risking è vista con favore da chi, come Fitch Ratings, apprezza l’accelerazione di queste ultime settimane del processo di de-risking delle banche italiane, come Banca popolare di Sondrio, Bper Banca e appunto Mps, in quanto in questo modo la pressione sui rating potrà calare, con un rafforzamento patrimoniale tangibile prima peraltro del previsto nuovo deterioramento che lo scadere delle moratorie sui mutui, a settembre o al più tardi a fine anno, rischia di comportare. Il tutto sembra combaciare alla perfezione con la più volte manifestata intenzione del governo di favorire la nascita di un “terzo polo” bancario (cui lo stesso Gualtieri ha accennato ancora ieri, pur evitando di fare nomi specifici).

Ma mentre il presidente di Banco Bpm Massimo Tononi ha ribadito "l'assoluta infondatezza delle voci relative a contatti tra i due istituti", la strada del “matrimonio” con il gruppo di Piazza Meda (su cui punta la maggior parte dei broker a Piazza Affari) o con qualche altra banca “sana” di medie dimensioni non è priva di insidie. Anzitutto poiché i crediti deteriorati da scindere e conferire alla bad bank (assieme ad un miliardo circa di liquidità con cui Mps patrimonializzerà il veicolo destinato a fondersi in Amco e a 104 milioni di Dta) sono iscritti in bilancio per il valore netto di 4,2 miliardi, ovvero 8,1 miliardi lordi, resteranno a bilancio ancora 3,5 milardi lordi di Npl (erano infatti 11,6 miliardi a fine marzo).

L’Npe ratio lordo calerà dal 13,2% di fine marzo (12,4% a fine 2019) al 4,3% e dato che il Cet1 calerà all’11,1% (era al 12,7% a fine 2019) Siena potrebbe ricapitalizzare nuovamente, di uno o due miliardi. Somma che peraltro si aggiungerebbe ai 5,4 miliardi già sostenuti per il “salvataggio” dell’istituto da parte del Tesoro (contro gli 1,8 miliardi scarsi di capitalizzazione di borsa attuale, destinata però ad aumentare proporzionalmente alla ricapitalizzazione). Solo a quel punto il matrimonio potrebbe celebrarsi, con Mps che varrebbe verosimilmente tra i 3 e i 4 miliardi di euro (con una perdita tra 1,5 e 2,5 miliardi circa per i contribuenti), salvo ulteriori insorgenze di crediti deteriorati. 

C’è però ancora un ultimo ostacolo, di cui si parla sul mercato da tempo: Mps ha un “petitum”, ossia una richiesta di danni legati a cause legali pendenti che ancora a fine marzo oscillava attorno ai 4,8 miliardi. Il petitum non è automaticamente un onere (ad esempio la causa che GM aveva provato ad aprire contro Fca per un “petitum” di quasi 6 miliardi di dollari è stata appena respinta in toto dal tribunale di Detroit), tuttavia lo stesso Mps ha precisato che di tale somma circa 2,2 miliardi si riferisce a vertenze legali “classificate a rischio di soccombenza probabile”, per le quali sono accantonati fondi soli 500 milioni, mentre altri  1,7 circa sono legati a vertenze classificate “a rischio di soccombenza possibile” e 900 milioni per vertenze classificate “a rischio di soccombenza remoto”.

Ammesso e non concesso che le vertenze in cui Mps stima che soccombere sia un rischio solo “possibile” o “remoto” si chiudano senza danni, resta da capire se quelle cause in cui Siena sa di rischiare grosso possano costare solo 500 milioni, come accantonato, o una cifra più vicina ai 2,2 miliardi chiesti.

A occhio sono circa 1-1,5 miliardi di ulteriori esborsi possibili di cui si dovrebbe in buona parte far carico l’eventuale futuro “sposo” di Siena che quindi non potrà che ridurre il prezzo da pagare al Tesoro per rilevare i titoli Mps ovvero provare ad aumentare gli oneri a carico della propria clientela per pareggiare i maggiori rischi a cui andrebbe incontro.

 

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