Quattrosoldi/ Erdogan a lezione di Abenomics. Turchia, Eldorado nel Mediterraneo

Mondo in cerca di nuovi motori di crescita ma mentre il Giappone ha rotto gli indugi decidendo di imitare la Federal Reserve americana dando via alla "Abeconomics", ossia ad una pioggia di liquidità in grado di riassorbire una deflazione che dura ormai da oltre due decenni e contemporaneamente su una svalutazione competitiva dello yen che consenta di spingere sull'acceleratore delle esportazioni (almeno finché gli stessi Usa accetteranno di vedere il dollaro rafforzarsi favorendo un aumento delle importazioni) e mentre la Cina è tentata da avviare una nuova fase di stimoli alla domanda interna, nonostante le cautele legate alla pericolosa "bolla" in cui tuttora si trova il mercato immobiliare, l'Europa fatica a trovare una ricetta in grado di riequilibrare divergenze anche profonde tra i paesi membri che la crisi del debito sovrano e la successiva repressione fiscale hanno finito con l'accentuare.
Eppure qualche segnale positivo lo si può cogliere anche per quella "sponda Sud" che da oltre due anni è in pesante crisi. In questi ultimi giorni prima Fitch ha alzato da "CCC" a "B-" (livello peraltro ancora "junk", ossia cartaccia) il merito di credito a lungo termine greco, segnalando "chiari progressi nell'eliminazione del doppio deficit, fiscale e corrente, mentre la svalutazione interna ha iniziato a prendere piede", poi è toccato a Moody's migliorare da "Ba1" a "Baa3" (l'ultimo livello "investment grade") il rating a lungo termine della Turchia, allineandolo così allo stesso livello di Spagna, Colombia e India. Il nuovo rating, spiega una nota dell'agenzia, riflette i "recenti miglioramenti e le attese future relative a variabili chiave macroeconomiche e nelle metriche di finanza pubblica".
Proprio Ankara sembra tentata dal rispondere alle mosse del Giappone con le sue stesse armi, ossia con un'iniezione di denaro a basso costo: la banca centrale turca ha infatti tagliato in settimana i tassi di riferimento di 50 punti base portando il costo del denaro al 4,5% (peraltro ancora 4 punti percentuali sopra il tasso applicato dalla Bce sulle operazioni di rifinanziamento principale in Eurolandia) col duplice scopo di invertire la frenata economica in atto (il Pil turco è cresciuto del 2,2% l'anno scorso dopo il +8,8% segnato nel 2011 e il +8,9% del 2010) e bloccare l'arrivo di "hot money" in yen e in dollari il cui eccesso rischierebbe di far rivalutare la lira turca, mettendo l'export a rischio. La mossa potrebbe funzionare, visto che la Bers (Banca europea di ricostruzione e sviluppo) prevedeva già prima di tale taglio che nel 2013 la Turchia possa crescere del 3,6%.