Telecom, le strategie di Vivendi. Azioni da comprare solo se torna il Toro in borsa - Affaritaliani.it

Economia

Telecom, le strategie di Vivendi. Azioni da comprare solo se torna il Toro in borsa

Tutto cambia perché nulla debba cambiare in casa Telecom Italia? Non proprio: l’avvicendamento nel ruolo di socio industriale “di riferimento” tra gli spagnoli di Telefonica, formalmente ancora soci al 6,42% (ma i titoli sono al servizio di un bond convertendo), e i francesi di Vivendi (che hanno ottenuto da Telefonica l’8,3% di Telecom Italia nell’ambito dell’operazione Gvt ed hanno poi investito un altro miliardo di euro per comprare un ulteriore 6,6%, pagando dunque circa 1,11 euro per azione, arrivando al 14,9%) dovrebbe dare luogo a un cambio di strategia dell’ex monopolista telefonico italiano, anche se difficilmente cambieranno i tre temi attorno a cui la strategia stessa dovrà ruotare. Tre temi che da tempo il mercato conosce e si chiamano Tim Brasil, banda larga e aggregazioni.

Quanto al primo tema, secondo molti analisti tra cui gli uomini di Websim, è probabile che il management di Vivendi abbia un atteggiamento “più flessibile e opportunistico”, o “pragmatico” che dir si voglia, in merito alle possibilità di consolidamento nel mercato brasiliano, con la possibile riapertura del dossier per la cessione della controllata, cosa che peraltro richiede che venga avanzata una proposta “interessate”. Il problema è che è difficile immaginare chi possa alzare rispetto alle valutazioni attuali (4,5 miliardi), giudicate insufficienti, tanto più dopo che At&t (uno dei pochi gruppi che teoricamente avrebbe avuto interesse e mezzi per farsi avanti) ha preferito puntare su Directv.

Per questo secondo Websim “il tema cessioni si proporrà solo nel 2016”. Nel frattempo potrebbe essersi meglio definito il secondo tema sul tappeto, quello degli investimenti per la banda larga in Italia. Vivendi, che ha subito fatto capire di avere un interesse a lungo termine per il mercato italiano, appare più portata di Telefonica a investire nella rete di nuova generazione, anche per poter distribuire tramite essa i propri contenuti. Qui però la partita è eminentemente politica e la palla è in mano al governo Renzi, che col rinnovo dei vertici di CdP che avverrà con l’assemblea del prossimo 10 (in prima convocazione) o 14 luglio (in seconda) e lo sbarco dell’attuale presidente, Franco Bassanini, a Palazzo Chigi col ruolo di “special advisor” per la banda larga potrà dirigere le danze.

Alla CdP infatti fa capo, tramite Fsi, il 46,2% di Metroweb (l’altro 53,8% fa capo a F2i e Imi Investimenti) che con 3.200 km di cavi è il principale operatore in fibra ottica d’Europa e che dopo la lettera d’intenti siglata con Wind e Vodafone potrebbe tornare a corteggiare Telecom Italia (che nel frattempo ha annunciato un accordo con Fastweb per portare la fibra nelle principali città italiane), dopo aver fatto capire di essere pronta ad affidare a Enel la guida di un progetto che riprenderebbe l’idea, in verità circolata già oltre un decennio or sono, di far passare la banda larga sulla rete del gestore elettrico.