Economia

Tim torna a correre in Borsa, ma non è ancora il momento di esultare. Vivendi e competitors, i fardelli dell'ex monopolista

di Marco Scotti

Nonostante le sfide sul tavolo, un maxi-assegno in arrivo dal governo fa ben sperare Tim

Tim torna a correre in Borsa, ma non è ancora il momento di esultare

Tim ha ripreso a correre in Borsa e il titolo ora "flirta" con 0,24 centesimi per azione. L'amministratore delegato Pietro Labriola ha spiegato che i tempi sono maturi per immaginare un ritorno alla remunerazione degli azionisti, dopo anni di vacche magre. Ma ci sono ancora parecchi temi che non si riescono a risolvere.

Il primo è quello che riguarda Vivendi: la sentenza del Tribunale che dovrebbe stabilire non tanto sulla liceità della vendita della rete - quella ormai non può più essere fermata - ma su un eventuale risarcimento ai francesi è slittata ancora.

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Al momento è difficile immaginare che qualcosa possa essere riconosciuto a Vivendi, che forse paga anche un eccessivo arrocco nel momento della trattativa per la cessione della rete a Kkr, quando cioè valutava l'asset 31 miliardi e da lì non si muoveva. Oltretutto se si pensa che lo Stato è nel capitale di Tim tramite Cdp, si appresta a rilevare Sparkle e punta alla creazione della rete unica tra Open Fiber e FiberCop.

Ora, Yannick Bolloré e i suoi devono decidere se e come vendere la loro quota del 24% che vale, ai cambi di oggi, poco più di 1,2 miliardi. Sembra che sarebbero disposti a intavolare una trattativa in un'area compresa tra gli 1,5 e i 2 miliardi e pare che ci siano un paio di fondi eventualmente interessati.

Ma a che prezzo? E con quali prospettive? Tim ha un problema che non può più far finta di non vedere: ora che è un'azienda di servizi di telefonia, deve confrontarsi con competitor come Wind Tre, Iliad e Vodafone-Fastweb. I quali hanno, tutti insieme, meno dipendenti della sola ex-Telecom, che ne annovera oltre 14mila. E qui potrebbe eventualmente annidarsi il dilemma successivo: immaginare scivoli e uscite volontarie per aumentare l'efficienza?

Quello che è chiaro è che Labriola fa molto affidamento sul miliardo di euro che dovrebbe essergli rimborsato dallo Stato per i canoni del 1998. La sentenza finale, della Cassazione, verrà pronunciata solo a fine 2025, ma il Ceo vorrebbe che già ora gli venisse corrisposto quanto dovuto. E il governo, ovviamente, non ci sente.

Possibile immaginare che si inizi un braccio di ferro che potrebbe coinvolgere anche eventuali esuberi? Non si sa. Certo, con quel miliardo in tasca, e con i 700 milioni della cessione di Sparkle che arriveranno in un'unica tranche appena si sbloccherà la trattativa con il Mef, Tim potrebbe guardare al futuro con un po' di ottimismo.

Certo, bisogna capire con quali obiettivi e in quale perimetro. Altro tema caldo, infine, è quello che concerne lo stesso management. Le voci messe in giro nelle scorse settimane sembrano più atte a fare confusione che a significare un reale desideri di un cambio di passo. Ma con Tim le sorprese non mancano mai. Labriola sembra molto convinto della sua strategia e delle sue scelte, forse perché al momento non ci sono grandi alternative. L'unica percorribile - cioè la vendita del Brasile - rappresenterebbe forse la definitiva mazzata alle ambizioni dell'azienda.