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Economia
Trump: protezionismo, immigrazione e Cina. I pilastri dell’agenda economica

Da Ispionline

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca può rappresentare un forte momento di rottura con le politiche economiche precedentemente condotte dalle amministrazioni degli ultimi vent’anni, nonché un potenziale elemento di instabilità per i mercati internazionali. Abbiamo raggiunto Francesco Daveri, professore ordinario di Politica economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza), per un suo commento sugli avvenimenti in corso.

Nel suo programma elettorale, Trump pone molta enfasi sulla necessità di rendere più allettante e conveniente per le imprese americane mantenere la produzione negli Usa che delocalizzare. Quali conseguenze per l’economia mondiale potrebbe avere una svolta protezionista dell’economia americana? 

Gli Stati Uniti sono da sempre i garanti di ultima istanza della globalizzazione. Oggi questo fenomeno è comunque in crisi: i negoziati al Wto sono in stallo da anni e anche gli accordi regionali per il libero commercio faticano a fare progressi tangibili. Ma una piena attuazione del programma elettorale di Donald Trump che cominciasse dall’imposizione di dazi del 35% sulle importazioni di prodotti dal Messico a seguito dello smantellamento del Nafta (l’accordo di libero commercio tra Stati Uniti, Messico e Canada) metterebbe il turbo al ritorno del protezionismo su scala mondiale.

Quale impatto sull’economia e sul mercato del lavoro americano potranno avere le misure proposte per limitare l’immigrazione – quali ad esempio il muro con il Messico e il divieto per i musulmani di entrare negli Usa – se Trump dovesse tener fede agli impegni presi?

Una piena attuazione del programma di restrizioni all’immigrazione dal Messico previsto dal programma elettorale di Trump è quasi impensabile. L’esperienza storica suggerisce l’inefficacia dell’innalzamento di muri a fronte di fenomeni di immigrazione di massa generata da dati di benessere. Alzare un muro con il Messico sarebbe la pratica disdetta del Nafta e porterebbe forse a salari più elevati per i lavoratori americani poco qualificati, a una perdita di competitività per le multinazionali americane e a prezzi più elevati per molti prodotti manifatturieri oggi realizzati in Messico. Naturalmente solo a patto che le imprese americane decidano di rimpatriare i loro capitali anziché spostare la loro produzione in Asia.

Durante la sua campagna elettorale, Trump non ha usato mezzi termini per criticare alcuni accordi commerciali internazionali (a cominciare dal Nafta) e attaccare la politica economica di Pechino accusati di aver penalizzato gli Usa. La vittoria di questa notte favorirà uno smorzamento dei toni del nuovo presidente?   

Una cosa sono i toni della campagna elettorale e un’altra cosa è la politica estera e commerciale. Un certo deterioramento nei rapporti commerciali tra Usa e Cina sarebbe stato nelle cose anche in caso di vittoria di Hillary Clinton. Come minimo, ci si può aspettare che sia rinviata sine die il riconoscimento dello status di economia di mercato a Cina, che sarebbe utile nelle controversie in materia di anti-dumping. L’imposizione di dazi ancora più elevati dei quelli oggi sarebbe però ovviamente sottoposto alle regole del Wto.

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