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Economia
Uber, che cosa cambia dopo la sentenza Ue

L’era della “gig economy” (l’economia del “lavoretti”) sta per tramontare? Dopo anni di polemiche la prima a cadere sotto i colpi di una rinnovata attenzione ai diritti dei lavoratori pare essere non una delle tante startup impegnate in tutta Europa a effettuare consegne a domicilio, ad esempio di generi alimentari, ma Uber Technologies, dopo che la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha accolto il ricorso presentato da un’associazione di tassisti di Barcellona stabilendo che il suo servizio di intermediazione, che mette in contatto con conducenti non professionisti utilizzatori del proprio veicolo con persone che desiderano effettuare uno spostamento in area urbana, rientra dell’ambito del settore trasporti e come tale potrà essere regolato dai singoli stati membri.

Uber per ora fa spallucce, sottolineando che la sentenza “non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi della Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti”. Infatti, Uber Pop (la versione del servizio che ruota attorno ad autisti non professionisti, come in Spagna) è andata via via morendo e al momento resisteva soltanto il quattro paesi Ue, in alcuni dei quali (come la Polonia) stanno già per intervenire cambiamenti normativi destinati a trasformarla comunque in un’applicazione regolamentata.

Di fatto però la decisione della Corte di giustizia Ue, che è inappellabile, cancella l’interpretazione finora data da Uber al suo servizio come puramente “digitale”, interpretazione che in parte già il nuovo Ceo di Uber, Dara Khosrowshahi (ex numero uno di Expedia), subentrato al co-founder Travis Kalanich dopo le dimissioni “spintanee” di quest’ultimo a seguito della pressione di alcuni azionisti investitori (Uber è ancora una società privata, ma si prevede che possa sbarcare sul listino di Wall Street entro il 2019), aveva fatto capire di essere pronto ad abbandonare.

Se è presto per capire quanto dovrà cambiare il business model di Uber dopo questa sentenza, in Italia cosa ci si può aspettare? Al momento sembrerebbero poter brindare le associazioni di tassisti, da sempre ferocemente critici al servizio offerto da Uber perché portatore di una concorrenza “sleale”, dato che aggira sostanzialmente la normativa fiscale e non prevede la necessità per i driver di acquistare una licenza (che i tassisti debbono invece pagare a caro prezzo).

In compenso Uber ha presentato anche delle innovazioni in termini di servizi, consentendo ad esempio all’utente di verificare il nome del conducente, la targa del veicolo e l’itinerario seguito, il tempo di attesa e la spesa complessiva. Nel “bel paese”, poi, la legge che regolamenta il settore dei trasporti è vecchia di un quarto di secolo (è del 1992) e andrà dunque rivista, anche se difficilmente potrà essere fatto nelle poche settimane che rimangono a disposizione dell’attuale legislatura. Sarà dunque il prossimo governo a doversi impegnare in merito e non è da escludere che il tema possa rientrare tra quelli della prossima campagna elettorale.

Se la normativa italiana saprà recepire gli elementi innovativi portati da Uber, aprendo il settore ad una maggiore concorrenza, per milioni di cittadini potrebbero essere dietro l’angolo servizi più economici, più trasparenti e più a misura di utente. Con una probabile ripercussione, positiva, anche per il settore dei trasporti pubblici, che sempre più deve mettersi al passo con quello privato, se non altro per la carenza di risorse con cui tamponarne le inefficienze. In caso contrario a brindare saranno solo coloro che godono di una rendita di posizione, in attesa che la prossima rivoluzione ne azzeri il residuo valore.

Khosrowshahi (che quando era ai vertici di Expedia è riuscito a farne incrementare il fatturato consolidandone il primato come principale agenzia viaggi online) ha già detto che è arrivato il momento di regolamentare servizi come Uber e di essere pronto a continuare il dialogo con le autorità cittadine e statali di tutto il mondo, con l’obiettivo di garantire a tutti un servizio affidabile a portata di click. Per la “gig economy” che basava molto se non tutto il suo appeal su un drastico taglio dei costi che spesso significava una parallela compressione dei salari di milioni di lavoratori è  ora di dimostrarsi maggiorenne e passare dai “lavoretti” ai lavori seri. La sfida alla “old economy” non cessa, semmai si farà più agguerrita, non potendosi svolgere solo più sul terreno del prezzo.

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