Violenza sulle donne, quasi la metà rinuncia a curarsi. Novartis scende in campo: "Screening gratuiti in cinque centri in Italia"  - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 18:08

Violenza sulle donne, quasi la metà rinuncia a curarsi. Novartis scende in campo: "Screening gratuiti in cinque centri in Italia" 

Violenza e dipendenza economica tolgono alle donne il diritto alla cura. Le interviste a Chiara Gnocchi (Novartis) e Cristina Carelli, presidente di D.i.Re

di Rosa Nasti

Violenza di genere e diritto alla salute: quasi 1 donna su 2 rinuncia a prevenzione e cure. Le interviste

Con un accordo bipartisan tra destra e centrosinistra, la Camera dei deputati ha approvato un emendamento alla proposta di legge che introduce nel codice penale il concetto di consenso. Un passo avanti nella lotta alla violenza sessuale che riconosce che senza consenso non c’è libertà, e che la libertà passa anche attraverso il diritto alla salute e alla dignità delle donne.

È da questa nuova consapevolezza che prende il via l’evento organizzato da D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, con il supporto di Novartis Italia, azienda leader nell’innovazione in ambito farmaceutico, per presentare il progetto "La salute è di tutte. Contro la violenza di genere, per il diritto delle donne alla salute", patrocinato dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC).

Un incontro che ha messo allo stesso tavolo mondi apparentemente distanti, quello sanitario e quello dei centri antiviolenza, due realtà spesso distanti ma oggi chiamate a collaborare per restituire alle donne non solo la cura, ma la possibilità di rinascere. I numeri dell’indagine parlano chiaro: quasi la metà delle donne accolte nei centri D.i.Re (48,8%) non ha mai partecipato a screening preventivi, e il 31% incontra ostacoli nell’accesso alle cure proprio a causa della violenza subita. Inoltre, oltre il 70% vive episodi di solitudine, segno tangibile di un dolore che isola e logora.

Eppure, come dimostra questo progetto, prendersi cura di sè può diventare la chiave della rinascita, perché la violenza nega il diritto alla salute, ma la salute può diventare il primo passo per riconoscersi degne e libere. Affaritaliani ha seguito da vicino l’incontro, raccogliendo le voci delle protagoniste.

Chiara Gnocchi, Country Communication & Advocacy Head di Novartis Italia spiega il senso di questa collaborazione: "Non è stato così difficile l'integrazione dei due mondi, ma perché l’azienda farmaceutica sta cambiando, e non è più solo focalizzata sul prodotto. Oggi ci sentiamo parte integrante di un sistema e in questo sistema vogliamo dare il nostro contributo attraverso l’ascolto e la collaborazione con i vari stakeholder".

L’impegno si traduce anche in iniziative concrete: "Quindi lavoriamo per cercare di ascoltare quali sono i bisogni e di adattarli poi ai nostri dipendenti. In questo noi supporteremo con degli screening gratuiti a livello di prevenzione senologica e cardiovascolare in cinque centri d’Italia, e in azienda inviteremo esperti che racconteranno alle nostre persone come tutelarsi da una possibile violenza".

"Si è parlato del fatto che quasi la metà delle donne intervistate non fa prevenzione - aggiunge Gnocchi - e questo dipende da un insieme di fattori: chi subisce violenza ha altre priorità, spesso non ha più fiducia nel mondo esterno. E quindi, all’interno di tutto questo, la prevenzione non è più tra le loro priorità".

Ma per la manager di Novartis il tema va oltre: "Più in generale credo che noi dobbiamo lavorare per aumentare la fiducia nel nostro sistema sanitario nazionale, perché è uno dei migliori al mondo. È un sistema universalistico, accogliente, che garantisce a tutti il diritto alla cura. È vero, non va tutto bene: ci sono problemi, liste d’attesa, difficoltà organizzative. Ma la soluzione è sedersi allo stesso tavolo, mettere insieme tutti gli attori e provare a trovare risposte comuni. Il mondo esterno oggi è così complesso che non puoi più pensare di risolvere i problemi da un solo punto di vista".

Gnocchi sottolinea poi che l’impegno dell’azienda non si esaurisce nella ricerca e nello sviluppo di farmaci, ma si estende a una responsabilità sociale più ampia: "Se partiamo dal presupposto che vogliamo portare innovazione al paziente in modo equo, tempestivo e appropriato, non possiamo dimenticarci di chi vive disuguaglianze ancora più profonde. Da un lato c’è l’impegno per le donne che vivono situazioni di fragilità, dall’altro noi lavoriamo ogni giorno per creare un ambiente di lavoro inclusivo ed equo".

Un tema centrale è infatti quello dell’indipendenza economica femminile: "Le donne per essere libere devono avere indipendenza economica. E noi ci impegniamo nel garantire che una donna e un uomo che fanno lo stesso lavoro abbiano la stessa retribuzione. Promuoviamo anche lo smart working, perché la donna non debba scegliere tra essere madre, moglie o manager, senza subire pressioni o violenze psicologiche e fisiche".

Alla domanda se l’equità in azienda e quella nel sistema sanitario vadano di pari passo, Gnocchi risponde senza esitazioni: "La parità di genere è strettamente legata allo studio sulla diversità di genere. Gli uomini e le donne sono diversi e dobbiamo valorizzare queste diversità nel pieno rispetto dei valori e dei principi fondanti della nostra comunità e del benessere."

Inoltre, dalla ricerca, emerge anche una forte connessione tra salute psicologica e salute fisica. A parlarne con Affaritaliani è Cristina Carelli, presidente di D.i.Re, che spiega come ogni forma di violenza maschile agisca in modo profondo sulla salute delle donne: "Tutte le varie forme di violenza hanno un effetto molto negativo sulla salute, in particolare su quella psicologica.

E vogliamo concentrarci su questo perché ancora oggi è presente uno stereotipo che fa pensare che le donne subiscano violenza perché sono psicologicamente labili. In realtà è l’esatto contrario: è la violenza che produce danni psicologici, per fortuna reversibili, ma comunque reali. Sono forme di depressione o ansia che non hanno a che fare con patologie psichiatriche, ma derivano direttamente dal trauma".

Un punto cruciale, perché queste conseguenze vengono spesso fraintese nei contesti medici e sociali. "Le donne portano con sé questo vissuto che viene frainteso come un tratto della loro personalità. E questo è gravissimo. Dobbiamo diffondere una maggiore sensibilità sul tema".

Sul piano economico, le difficoltà sono altrettanto gravi. "La violenza di per sé produce anche una dipendenza economica", spiega Carelli. "Anche qualora la donna lavorasse, spesso lo lascia, riduce le ore o il suo denaro viene controllato dal maltrattante. È una forma di violenza economica. E purtroppo il nostro sistema sanitario costringe spesso a rivolgersi al privato, perché la sanità pubblica oggi è poco tempestiva, poco flessibile e con una burocrazia complessa. Bisogna migliorare questi aspetti e garantire alle donne un’indipendenza economica per poter accedere alle cure".

Ma quando si parla di femminicidio l’immaginario collettivo va subito al delitto, eppure prima di questo c’è (anche) la negazione della salute, dell’ascolto, dell’accesso. È forse da lì che deve iniziare la prevenzione? Su questo punto Carelli spiega: "Se il danno alla salute diventa così grave da mettere in pericolo la vita, allora è una forma di femminicidio indiretta, ma pur sempre una violenza che può uccidere. L’effetto della violenza si apre in tante direzioni, anche quelle non visibili".

Sulle prospettive future del progetto, la presidente conclude: "Sicuramente sta già cambiando qualcosa. Abbiamo oggi un’attenzione maggiore all’aspetto della salute, dati più precisi che ci permettono di confermare quello che sospettavamo, e un rapporto più aperto con il sistema sanitario. Ma chiediamo a quel sistema di cambiare, di diventare più sensibile e di rendere l’accesso ai servizi più immediato. Solo così le donne potranno davvero curarsi e rinascere".

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