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Spettacoli
Horizontal Rain, la pioggia orizzontale di Bernardo Lanzetti

Horizontal Rain è la pioggia che ci arriva addosso, in piena faccia, sorprendendoci e disorientandoci, stimolandoci a nuove strategie: un album di avventure musicali diverse e imprevedibili con cui Bernardo Lanzetti celebra con 120 brani/composizioni all’attivo, una carriera pazzesca e numeri importanti. Pensato e realizzato nell’arco di alcuni anni con collaboratori e ospiti illustri, il lavoro si presenta come una collezione di episodi musicali che partono dal Prog e approdano all’Avanguardia, passando per la Modern Opera, lʼArt Rock, il Rock & Soul e il Classix 2B dove Bernardo, da vero vocalist, mette a disposizione “tutte le sue voci”. Nell’album, passione, nostalgia distaccata, furia e ironia si snodano traccia dopo traccia con un mix di sonorità imprevedibili quanto efficaci: il sax baritono di David Jackson che sostituisce il contrabbasso in Lanzhaiku o lo stick inconfondibile di Tony Levin in Heck Jack. Le chitarre incalzanti di Marco Colombo in Genial! dove neppure l’Andalusia è trascurata o quelle di Andrea Cervetto, lancinanti nel disperato appello di Walk Away, che trova, da contraltare, il violino struggente di David Cross.

 

Bernardo Lanzetti, autore e compositore, sei uno dei pochi a scrivere testi sia in italiano sia in inglese. Cosa rappresenta Horizontal Rain?

 

Sono “Schizzi e Affreschi” per il futuro: un modo per mettermi alla prova, ancora una volta, in un album dove ho messo in campo tutto il mio estro e attitudine. Infatti, per la prima volta, ho voluto caratterizzare copertina e libretto del CD con lavori pittorici o particolari di mie recenti opere originali. Geometrie, colore e sensualità sono state organizzate da Gigi Cavalli Cocchi, già compagno di avventure alla batteria, ma, in questa particolare occasione, sapiente e preciso grafico. In questo disco ho sentito la necessità, non di spiegare, ma di aggiungere qualcosa ai brani con i miei disegni. Forse presento le linee dei miei fantasmi…

Horizontal Rain è un album sorprendente: composto di 9 brani di cui 8 in inglese 1 in italiano, 19 musicisti più 7 elementi di coro della Compagnia Teatrale O.L.B.C. di Foligno e tutta la tua estensione vocale che supera le 3 ottave. 8 tecnici del suono hanno registrato, mixato e masterizzato il tutto con l’accurato e paziente lavoro del produttore Dario Mazzoli a rendere il lavoro singolare e prezioso per generi musicali e numero di musicisti. Un album “colto”? 

Non sono così colto come mi dipingono, solo che, nei momenti e nei luoghi giusti, ho vissuto tante cose e le ho tutte addosso. È sicuramente un lavoro impegnativo e particolare, dove diversi generi musicali e messaggi artistici, come poesia e arte grafica, s’incontrano contaminandosi. Alcuni di questi sono espressi apertamente, altri sottintesi, stimolando la creatività. Penso che l’arte sia chiamata a un impegno superiore. Credo che abbia il compito e il dovere di fare delle cose per pungolare l’umanità, affinché cresca e si prepari per il futuro. L’artista prepara dei ponti, come l’architetto illuminato, progetta case, stazioni, aeroporti che possano affrontare il domani. Io credo che ci sia bisogno di musica che descriva e qualifichi la nostra epoca.

Horizontal Rain…perché?

Sono fiero del titolo scelto, ho pensato al titolo almeno due tre stagioni fa. Perché è sonoro, lo vedi. Tutti conoscono la pioggia e colpisce con la sua efficacia. Un’immagine sintetica e rock. Credo di essere il primo a chiamare la pioggia, orizzontale. La cover vede protagonisti due disegni, uno a gessetto e uno a matita: a quest’immagine ho affidato il compito di attirare l’attenzione, il titolo viene di conseguenza.

C’è un brano che ti sta a cuore particolarmente?

Sono il padre di tutti e faccio fatica a sceglierne uno. Sono tutti importanti per me e carichi di pathos. Tutti forti. A mio avviso ho messo in musica le varie sfaccettature: poesia, parole, frasi e ritmi. Le parole a volte col ritmo comunicano di più, diventando musicali. Ho usato tempi dispari, strumenti poco utilizzati, mi sono applicato con la voce su vari registri. In Lanzhaiku ho utilizzato haiku, che si realizza in tre frasi. In musica sono generalmente numeri pari, quindi in questo caso il musicista si trova ad avere un impregno di confezione diversa. Tutti i brani sono ispirati a canoni poetici, in Horizontal Rain, per esempio con contrapposizioni e parole nascoste in acronimi.

I testi sono tutti tuoi, tranne due. Conoscendoti, non è un caso, ci spieghi il perché?

Scrivendo anche il testo, ci si irrigidisce nell’interpretarlo. Questi due brani mi hanno permesso di lasciarmi andare, assaporando il piacere dell’interpretazione. È un’emozione diversa perché ci sono le parole di un altro scrittore che introducono altre sfumature, importanti e irrinunciabili. Se poi sono di Peter Jack Marmot, un caro amico, lo sono ancora di più.

Quello che colpisce di Horizontal Rain è la sua maestosa “coralità”. Un disco da solista che, tuttavia, celebra ed esalta, la forza e la potenza di tanti musicisti…

Sono un uomo, un artista che appartiene al mondo. Ho voluto che ogni Maestro potesse fare il suo “ricciolo”, col proprio strumento perché tra noi c’è tantissimo rispetto ed empatia a fare la differenza. Sono grato a Dario Mazzoli che, a scatola chiusa, dimostrando nei miei confronti una grande fiducia, ha preso il progetto e lo ha portato a termine. Dario Mazzoli che, nell’occasione di un brano, è arrivato a togliere il basso dallo “Scaffale” (nickname di quando era con Elio) per unirsi alla batteria di Jonathan Mover.

Se dovessi auto-definirti?

Sono sempre stato considerato un outsider: in America lo ero perché non americano e in Italia perché facevo una musica poco convenzionale. Negli anni ’70 non era facile vivere e lavorare, neanche in Inghilterra. C’era tanta diffidenza che cambiò, pensa, quando abbiamo vinto i mondiali dell’82 con il grande Paolo Rossi. Spesso e volentieri accade che non si ricordi quali siano i miei lavori. Ricordo un bello spettacolo dove, Una sera che piove, interpretata magistralmente dalla Bertè, venne definito “un bel testo di Ivano Fossati”, peccato che invece sia, di Bernardo Lanzetti. Hanno pubblicato una sorta di mappa del Rock Prog italiano, saltando del tutto Parma e L’acqua Fragile…una grave mancanza. Sono un “nomade” con la fortuna che posso creare ovunque, perché nasce tutto nella mia testa. Sono un cantante e faccio una nota alla volta. Tutto nella mia testa, dove disegno una sorta di grafico che poi, a casa, registro.

Bernardo Lanzetti sogna ancora?

Quando potrò più fare un lavoro così leggero e nobile? Questo me lo chiedo, ma continuo a sognare. Uno dei tanti desideri, è di poter partecipare ad un progetto mondiale con i migliori strumentisti, i migliori cantanti e fare dieci concerti in giro nel mondo. Sono figlio degli anni ’60 dove erano le band che si frapponevano ai solisti. Un’idea di coralità e di gruppo che è la mia normalità. Il mio modo di vedere la musica. Io voglio mettere il naso nella musica degli altri. Avendo suonato con la PFM, negli anni migliori, ho visto e vissuto la potenza del gruppo. Con loro alla prova, non si parlava, ma si suonava. Maestri ognuno del proprio strumento.

Che musica ascolti?

Ascolto poca musica, perché sono impegnato a fare la mia. Ho sempre qualcosa che mi suona nella testa…

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