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Esteri
"Noi restiamo qui": la pandemia da coronavirus vissuta dai cinesi in Italia

Trecentomila. E' il numero dei cinesi che vivono in Italia. Trecentomila volti, trecentomila storia, trecentomila voci che spesso sono state tenute sotto silenzio. O magari non sono state ascoltate, come durante la prima fase della pandemia da coronavirus. Eppure, di questi trecentomila volti, la maggior parte ha scelto di rimanere in Italia, nonostante la situazione epidemica avrebbe potuto suggerire altrimenti. 

Come hanno vissuto questo periodo? Cosa hanno fatto? Quali erano i loro pensieri? Sono le domande che hanno portato alla creazione di "Noi restiamo qui - Come la comunità cinese ha vissuto l'epidemia", un libro (disponibile ora sia in versione cartacea sia in versione digitale) a cura di Cina in Italia, che ha raccolto le storie e le testimonianze di ventidue cinesi, che hanno aperto il loro cuore e condiviso questo pezzetto della loro vita. Vengono da tutta Italia, da Palermo a Torino, e fanno tutti lavori diversi. Tramite i loro testi si può entrare nella comunità cinese e vedere con i propri occhi se davvero si tratta di una comunità “chiusa”, come spesso si dice.

Su Affaritaliani.it proponiamo (ringraziando per la gentile concessione Cina in Italia), un estratto del libro, che verrà presentato giovedì 1° ottobre alle ore 18,30 presso l'hotel The Hive di via Torino a Roma. Interverranno alcuni dei 22 autori del libro, con la moderazione di Shi Yangshi. Al termine è previsto un aperitivo per festeggiare la Festa della Luna.

Qui di seguito, sotto la copertina, la prefazione di "Noi restiamo qui - Come la comunità cinese ha vissuto l'epidemia", a cura di Hu Lanbo, scrittrice e fondatrice della rivista bilingue Cina in Italia.

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I primi di marzo, la nostra redazione ha ricevuto il messaggio di una donna italiana che chiedeva se potessimo reperire mascherine per suo figlio affetto da leucemia. Il piccolo era in cura all’Ospedale Bambino Gesù e durante i trattamenti aveva bisogno di indossare la mascherina. Ma in quel periodo i dispositivi di protezione scarseggiavano ed era ancora più difficile trovare mascherine per bambini.

Ne ho parlato nel mio profilo WeChat e tutti i miei amici cinesi, provenienti da tutto il mondo, hanno preso a cuore la faccenda e mi hanno sommersa di premurose domande.

Due donne cinesi che vivono a Roma hanno donato cinquanta mascherine alla mamma italiana, prendendone alcune da quelle che conservavano per i propri figli.

In seguito, la signora Liu Yu, che aveva messo in contatto le tre mamme, ha proposto sul suo profilo WeChat di avviare una donazione di mascherine chirurgiche per l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Anche io facevo parte del gruppo che aveva avviato e ho potuto osservare l’impegno attivo di tutti i componenti. È stato aperto un conto Alipay e in mezza giornata sono stati raccolti gli 80.000 yuan necessari (circa 10.000 euro) e acquistate ventimila mascherine destinate all’ospedale.

Dopo lo scoppio dell’epidemia, quasi tutti i cinesi, nuclei familiari, associazioni o singoli individui, hanno preso parte alle attività di beneficenza e alla donazione di mascherine: era una questione di vita o di morte. Si potrebbe quasi dire che chi possedeva due scatole di mascherine era legittimato a sentirsi il più ricco del mondo!

C’è una questione su cui mi sono ritrovata spesso a riflettere: nel corso degli anni, gli italiani hanno sempre considerato i cinesi una comunità chiusa, ma se fosse davvero così, perché avrebbero compiuto azioni tanto generose? Una persona chiusa è presa solo da sé stessa, non si prenderebbe mai cura degli altri. E allora come mai decine di migliaia di cinesi hanno partecipato alle donazioni?

Dal mio punto di vista, credo che la risposta risieda nell’educazione culturale con cui i cinesi sono cresciuti, nella profonda radicazione di uno spirito collettivista: non si è al sicuro quando una sola persona scampa al pericolo, ma quando tutti se ne liberano.

Ho invitato oltre venti immigrati cinesi a scrivere le loro esperienze e riflessioni nate da questo periodo. Spero che le loro voci e i loro sentimenti arrivino a tutti gli italiani.

Quando l’Italia era nel pieno della crisi sanitaria, la situazione epidemica in Cina era già molto migliorata. Per questa ragione, alcuni hanno scelto di tornare nel loro Paese d’origine: non erano sicuri che gli ospedali italiani avrebbero avuto gli strumenti adatti a fronteggiare l’emergenza, ma soprattutto sentivano che era la Cina la loro vera casa.

Eppure, la maggior parte di noi è rimasta. Non sentirsi a casa è un buon motivo per fuggire?

A febbraio, dopo aver pubblicato sulla pagina Facebook di Cina in Italia l’articolo Andare o restare? Il dilemma della comunità cinese in Italia, i nostri lettori italiani hanno lasciato dei commenti in merito: alcuni hanno espresso dispiacere, altri indignazione per la sensazione di non appartenenza manifestata dai cinesi. Ma il virus è spietato e qualsiasi tipo di scelta in quel momento sarebbe stata inopinabile. 

Il 2 febbraio abbiamo organizzato una vendita di beneficenza nell’ufficio della nostra redazione. È stato davvero commovente, in un periodo in cui i cinesi venivano evitati, vedervi partecipare quasi un centinaio di persone. Abbiamo raccolto 1.170 euro e l’intera somma, destinata alla lotta all’epidemia, è stata consegnata alla Federazione dei Cinesi d’Oltremare.

Quando l’epidemia di polmonite da nuovo coronavirus è scoppiata in Cina, molti cinesi in Italia sono stati emarginati o hanno subìto diverse forme di discriminazione. Tuttavia, i media italiani ci hanno dato moltissimo spazio, ci hanno permesso di andare in TV e in radio per dar voce alla nostra comunità. Tutt’oggi sono loro molto grata.

Non mi aspettavo che degli oltre venti autori che ho invitato a prendere parte a questo libro, così tanti avrebbero parlato di discriminazione. È un chiaro segno di quanto la ferita sia profonda.

Ho speso molte energie cercando di modificare i loro articoli nel tentativo di minimizzare la questione, perché in fin dei conti la ghettizzazione che si è verificata è dovuta al virus ed è ben diversa dalla normale discriminazione razziale. Ma il lavoro di revisione è stato davvero arduo, così abbiamo deciso di mantenere i testi originali.

In diversi brani scritti dai cinesi di seconda generazione, si percepisce la sete di accettazione della loro identità. Senza alcun dubbio, rappresentano tutti i cinesi di seconda generazione che vivono in Italia, che ad oggi sono protagonisti di un tema che necessita attenzione.

Questo libro è la voce dei membri della comunità cinese in Italia che hanno scelto di restare. Rimanere qui significa che il nostro destino è legato a quello dell’Italia, che la consideriamo la nostra casa. Alcuni degli autori non si erano mai cimentati nella scrittura prima d’ora, ciononostante sono stati tutti puntuali nella consegna degli articoli. Sebbene il lavoro di revisione e di traduzione sia stato piuttosto difficile, alla fine, dopo tre mesi, siamo riusciti a terminare il libro.

È la prima volta che gli immigrati cinesi, nella loro collettività, fanno sentire la loro voce all’Italia, che aprono il loro cuore, che esternano i loro sentimenti. Gli autori vengono da tutta Italia e svolgono professioni diverse: attraverso le loro parole, i lettori potranno capire meglio la comunità cinese italiana.

La comunità cinese non è affatto chiusa, semplicemente non abbiamo molte occasioni di socializzare, il lavoro ci toglie moltissimo tempo. La speranza è che in futuro possiamo migliorare i nostri sforzi di integrazione. In questo momento, condividiamo con l’Italia una sfida comune, quindi dobbiamo farci forza, dobbiamo combattere sullo stesso fronte.

In questo, la cultura occidentale e quella orientale sono molto diverse, tuttavia le differenze culturali non devono fermare la nostra reciproca comprensione. Solo quando ci capiremo davvero a vicenda tutti i sospetti potranno dissolversi come fumo nell’aria.

L’integrazione non è un compito a senso unico delle comunità straniere: anche la società italiana deve aprirsi, prendere l’iniziativa di avvicinarsi agli immigrati. Sarebbe meraviglioso se i nostri vicini italiani ci invitassero più spesso a prendere un caffè.

Questo libro è un grande progetto ed è un lavoro pionieristico senza precedenti.

Sono trascorsi già otto mesi dallo scoppio dell’epidemia e tre mesi dall’ultimo articolo che abbiamo ricevuto per questo libro. A leggerle ora, sembra che alcune di queste storie siano ormai lontane, è davvero toccante. Abbiamo lasciato una testimonianza di un pezzo di storia, abbiamo raccontato la vita durante un periodo così particolare, il che rende questo libro colmo di significato.

Finalmente siamo riusciti a concludere questo enorme progetto senza precedenti. Ed è qui che vorrei esprimere la mia profonda gratitudine a tutti gli autori, i traduttori, i revisori e tutti coloro che hanno contribuito alla creazione di questo volume.

Roma, settembre 2020

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