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"Coronavirus, fase 2, digitale, diplomazia: all'Italia manca un approccio sistemico"

Gestione dell'emergenza, fase due, privacy, app, trasformazione digitale, politica estera, sostegno alle imprese e 5G. L'Italia ha bisogno di un approccio sistemico, altrimenti non saprà affrontare le sfide del mondo post Covid-19. È il succo dell’analisi di Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, intervistato da Affaritaliani.it.

Giuliano Noci, in che modo andrebbe utilizzata la tecnologia per gestire la cosiddetta "fase due"?

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Io sono stato promotore con il professor Alfio Quarteroni (accademico e matematico, ndr) e a Ottavio Crivaro (Founder & Ceo Moxoff, Mathesia, Math&Sport, ndr) di un progetto che mira alla costruzione di un datalake Covid-19, capace di alimentare modelli matematici e algoritmi di previsione e ottimizzazione per identificare potenziali nuovi focolai, prevenire la diffusione del contagio, anticipare l’early detection dei contagiati asintomatici e ottimizzare la gestione delle risorse sanitarie disponibili. Un approccio che non ha nell'app in sé il fulcro centrale della gestione dell'emergenza.

L'app che si sta mettendo a punto in Italia è lo strumento giusto?

La app è un canale di accesso, ma fatta così non serve praticamente a nulla. Servono un datalake integrato dei dati provenienti dalle regioni e soprattutto un ciclo gestionale di questi dati, che devono essere georeferenziati, sincroni e omogenei dal punto di vista temporale. Quella dell'Italia mi pare una scelta di compromesso che annacqua un po' tutto.

Non si possono però aprire delle questioni inerenti alla privacy?

Dal mio punto di vista si potrebbe, e si dovrebbe, rinunciare a una parte di privacy in nome del bene collettivo. Il dibattito su questo tema mi pare stucchevole, anche perché i dati sarebbero in mano a un ente pubblico. Ogni giorno cediamo, più o meno consapevolmente, dati che le aziende utilizzano per profilarci. Ora possiamo scegliere di farlo volontariamente per fare in modo che ci siano meno morti e che l'economia riparta il prima possibile. Aggiungo una cosa. Il datalake deve essere integrato a livello europeo. Come si possono riaprire i confini e rimettere in funzionamento l'industria del turismo se non si approccia il tema in modo sistemico e con una vista complessiva?

Come andrebbe strutturato questo approccio sistemico?

In tre modi. Primo: concentrandosi su tutto il ciclo del dato. Secondo: superando la dicotomia astratta fra salute e privacy. Terzo: integrazione europea. Ritengo si debbano fare delle grandi riflessioni. Ci si muove in tutto il mondo verso una cultura del dato e mi pare che l'Italia non abbia ancora metabolizzato questa trasformazione. Per affrontare le sfide del futuro (e del presente, come dimostra questa pandemia), bisogna implementare una gestione proattiva e consapevole del dato per fare politica pubblica. La mancanza di tale aspetto si è manifestata in tutta la sua criticità e drammaticità nell'attuale emergenza.

L'Italia è pronta a gestire la fase due?

Si è deciso di riaprire ma non sono certo che si siano create tutte le condizioni per gestire questa riapertura. Che senso ha avere un'app a fine maggio quando il ciclo di incubazione è di 14 giorni? Mi pare si navighi a vista. Vogliamo parlare delle mascherine? Sono necessarie per gestire le misure di distanziamento sociale post emergenza in modo adeguato, eppure ancora adesso diciamo che a fine giugno ne avremo 35 milioni. Ma oggi ce n'è un numero ancora insufficiente. Così come mancano i reagenti. Si sta creando un collo di bottiglia sui tamponi. Mi stupisce che non si sia pensato di destinare alcune industrie chimiche alla produzione di reagenti.

Si dovrebbe fare di più in materia di sostegno alle imprese?

A fine febbraio dissi che bisognava rendersi conto che la situazione richiedeva dei mezzi straordinari. Sono rimasti, sotto diversi aspetti, livelli di intermediazione non necessari. Un mio studente del Politecnico si trova nel Regno Unito per un master e lavorava saltuariamente come tecnico audio nei concerti. Ha ricevuto un'email da compilare e dopo 24 ore si è visto accreditare sul conto corrente il valore medio del percepito mensile calcolato sulle buste paga degli ultimi sei mesi. In India e in Africa i sostegni economici vengono veicolati via sms. L'Italia è il terzo paese al mondo per penetrazione di smartphone e non si può fare lo stesso? Smettiamola di ritenere gli italiani all'età della pietra.

C'è il rischio che l'Italia non riesca a sfruttare questa drammatica emergenza per operare la trasformazione digitale di cui ha bisogno?

Al momento si possono giudicare solo le dichiarazioni e le intenzioni espresse, che mi sembrano positive. Si è detto che si vuole investire in tecnologia e in formazione digitale. Poi non sappiamo se e come tali parole si tradurranno in atti pratici. Una cosa è certa: il mondo post Covid-19 sarà molto diverso. Il virus agirà (e sta agendo) da acceleratore per la trasformazione digitale dell'economia e, se non farà tesoro di questa esperienza, per l'Italia sarà un passo indietro. Siamo già quartultimi nel digital economist society index Ue e rischiamo di trovarci in coda se non agiamo con decisione.

Le società asiatiche sono più pronte per il mondo post Covid-19?

Le società asiatiche sono molto più avanti e preparate per gestire l'emergenza e la riapertura per diversi motivi. Primo: in esse l'individuo si identifica con la società e la società viene prima dell'individuo. Ora, finalmente, ci rendiamo conto che quando il turista asiatico arriva in Italia con la mascherina non lo fa per proteggere se stesso ma lo fa perché magari ha il raffreddore e non vuole infettare gli altri. Nel sistema di valori confuciano che permea larga parte delle società asiatiche il dibattito sulla privacy non esiste, o comunque non esiste sugli stessi termini occidentali. Secondo: alcune società, come quella cinese o quella coreana, sono molto più avanzate dal punto di vista delle tecnologie digitali e potranno sfruttare sistemi molto più strutturati dei nostri nel prossimo futuro.

Lei è anche un grande esperto di Cina. Come giudica l'azione diplomatica dell'Italia in politica estera negli scorsi mesi?

Credo abbia sofferto dello stesso difetto che l'Italia ha palesato in altri settori: la mancanza di un approccio sistemico. Con l'Europa sono stati fatti passi avanti e passi indietro. Abbiamo chiesto aiuto, dico io giustamente, ma nel contempo abbiamo mantenuto atteggiamenti molto vigorosi che non so quanto abbiano giovato alla negoziazione. Aggiungo poi che, nel momento in cui chiede sostegno economico, il governo italiano dovrebbe essere chiaro e tempestivo nella presentazione di un piano. E invece siamo a maggio inoltrato e ancora aspettiamo il dl Aprile. Per quanto riguarda la competizione tra Cina e Stati Uniti, ritengo l'Europa il vaso di coccio tra le due superpotenze e l'Italia il punto più debole di questo vaso di coccio. L'Italia ha una posizione strategica privilegiata sul Mediterraneo ma è allo stesso tempo l'anello debole dal punto di vista economico e finanziario. Per questo è diventata l'epicentro di movimenti tellurici tra Washington e Pechino. L'assenza di visione sistemica porta ad ammiccare all'una e all'altra potenza a intermittenza. In realtà credo che serva sì qualificare in modo chiaro l'appartenenza geopolitica al Patto atlantico ma anche trovare alleati se gli Usa alzano il tiro e minacciano dazi. Servirebbe la creazione di un nocciolo duro anche su base europea.

Negli ultimi anni ci siamo molto avvicinati alla Cina a livello commerciale e diplomatico. Questa mossa ci ha portato dei vantaggi?

Abbiamo aderito alla Belt and Road, cosa che ritenevo giusta, ma non abbiamo portato a casa un risultato. Questo perché non c'è stata pianificazione. La Cina si è portata a casa il risultato di avere la firma di un paese del G7, noi abbiamo portato a casa zero, anzi solo problemi nella relazione con gli alleati. Le cose vanno fatte con una visione strategica e sistemica, altrimenti non possono funzionare.

C'è il rischio che le tensioni tra superpotenze, in cui viene coinvolta indirettamente anche l'Italia, possano avere effetti sul processo di innovazione tecnologica, per esempio in materia di 5G?

Il rischio c'è. L'Italia è un importatore netto di tecnologia, dopo che a fine anni Novanta abbiamo venduto Italtel e Telettra. Oggi dipendiamo completamente da paesi terzi e siamo obbligati a comprare apparati dall'esterno. Apparati che devono essere oggetto di validazione, così come l'infrastruttura di rete deve essere costantemente monitorata. Mi colpisce il fatto che nel dibattito pubblico non trovi posto il tema di creare un'agenzia indipendente a forte contenuto tecnologico che si preoccupi di gestire la più grande infrastruttura del futuro, la banda larga.

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