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Esteri
Coronavirus, torna la Via della Seta. La Cina si rilancia attraverso l'Italia
Foto: LaPresse

Il 31 gennaio l'Italia blocca i collegamenti aerei diretti con la Cina, facendo arrabbiare Pechino, che si sente tradita nel momento del bisogno. Circa 40 giorni dopo la Cina spedisce in Italia un team di medici e un'importante quantità di materiale sanitario, tra mascherine, tute protettive e respiratori (acquistati dal governo italiano). In tempi di bisogno, l'Italia riscopre dunque il "fascino" per la Cina, che era stato accantonato quando il coronavirus era ancora chiamato "virus cinese" ed era visto come un qualcosa di lontano e possibile da tenere chiuso al di fuori dei nostri confini. Come sappiamo, non era così. Dopo essere stati i primi in Europa a bloccare i voli con la Cina, ora siamo i primi a seguire il suo modello di contenimento, per la verità non privo di errori e difficilmente replicabile in un contesto come il nostro. E Pechino sfrutta la situazione per calarsi nei panni di "salvatore" globale, dopo aver portato (per ora) quasi a termine la battaglia contro il "demone" interno. 

Ed ecco, allora, tornare improvvisamente in circolo la "Via della Seta", che il governo Conte bis aveva fatto finire a lungo nel dimenticatoio. Dopo l'adesione dell'esecutivo gialloverde alla Belt and Road Initiative, era infatti cominciato un lento ma inesorabile ripensamento da parte di Roma. Un ripensamento causato dalle pressioni di Washington e che si era manifestato nella simbolica introduzione del golden power sul 5G durante il primo consiglio dei primi ministri del Conte bis, ma anche nella retromarcia sull'accordo aerospaziale con Pechino. Per finire con il blocco dei voli e il seguente discordante balletto interno, che ha costretto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che a novembre dovrebbe andare in visita in Cina a conclusione di quell'anno del turismo e della cultura Italia-Cina mai veramente cominciato a causa del coronavirus) a intervenire in prima persona, con una lettera al presidente cinese Xi Jinping e un concerto straordinario al Quirinale. Ultimo capitolo del riposizionamento italiano, il voto (seppur in forma segreta) per il candidato di Singapore (sostenuto dagli Stati Uniti) alla Wipo, l'agenzia per la proprietà intellettuale delle Nazioni Unite. 

Ora, però, sembra essere tornato il sereno. Xi Jinping ha scritto a Mattarella per assicurargli che "il governo e il popolo cinese sostengono fermamente gli sforzi dell'Italia, fornendo collaborazione per combattere l'epidemia" di coronavirus. L'Ambasciata cinese a Roma ha lanciato un hashtag #ForzaCinaeItalia, mentre il servizio sull'Ansa di Xinhua (derivante da uno degli accordi sottoscritti nel marzo 2019 in ambito BRI), sottolinea gli aiuti reciproci tra i due paesi in questo momento di crisi. In realtà, le mascherine inviate a suo tempo alla Cina provenivano innanzitutto dalla Santa Sede (che con l'emergenza si è avvicinata ancora di più a Pechino in previsione dell'accordo sulla nomina dei vescovi da rinnovare entro fine 2020 e, soprattutto, della futura e sempre più probabile visita di Bergoglio, che il Vaticano sta provando a organizzare da tempo), e solo in un secondo momento dall'Italia. 

Vista la contingenza della crisi, con gli altri Stati europei che hanno bloccato l'export di mascherine (misura predisposta anche dall'Italia) e gli Stati Uniti che hanno bloccato i voli con il Vecchio Continente, Luigi Di Maio sta riuscendo a sottolineare implicitamente la bontà della scelta di aderire alla Belt and Road. Dopo aver più volte ammonito che l'Italia "non dimenticherà" chi è è stato vicino e chi no in questo momento di difficoltà, prendendosela con la CNN per una mappa che sembrava mostrare il nostro paese come l'origine dell'epidemia. Il tutto mentre la Cina, che è riuscita ad arginare il contagio a livello interno, ha dato il via libera all'export di mascherine e di materiale sanitario, di cui è il primo produttore mondiale, soprattutto grazie alle fabbriche proprio di Wuhan e della provincia dello Hubei

Il ministro degli Esteri ha concluso l'acquisto di mille respiratori dopo un colloquio con l'omologo cinese Wang Yi, con Pechino che, secondo Di Maio, "ha detto alle proprie aziende di esportare due milioni di mascherine ordinarie in Italia". Una giusta collaborazione tra governi basata su domanda e offerta e collaborazione nel momento del bisogno. Un doppio bisogno per entrambi: quello più impellente dell'Italia di reperire materiale sanitario per fronteggiare l'emergenza e quello più strategico della Cina di proporsi come modello da seguire per risolvere la crisi.

Una collaborazione che si accompagna alla solidarietà a tutto tondo di imprese, organizzazioni e privati. Diverse aziende, tra cui il conglomerato Fosun, il colosso (proprietario dell'Inter) Suning e Alibaba sono operative n tal senso. Fosun ha già completato una donazione al Comune di Milano e sta per completarne una seconda a Regione Lombardia, Suning ha regalato 100 mila euro e 300 mila mascherine all'Ospedale Sacco di Milano, mentre il gigante fondato da Jack Ma ne ha inviate all'estero circa un milione, per ora in Giappone e in Iran. Senza contare i molteplici esempi di solidarietà arrivati dalle comunità cinesi presenti in Italia, con donazioni dalla Lombardia al Piemonte, dalla Toscana alla Calabria.

Spesso con la Cina si fa l'errore di mettere tutto insieme, governo e popolo, politica e cittadini. Forse per questo, all'inizio della crisi non sono arrivati messaggi di solidarietà ai cinesi. Nessun #JeSuisWuhan. Anzi, tutto il contrario. Allo stesso modo, ora che è l'Italia a ricevere aiuti e solidarietà, si mette tutto insieme come se il mittente fosse uno solo. Fino alla prossima giravolta.

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Pubblicato sul tema: La forza dei ‘cammini’ e la memoria lunga della Grande Madre Cina

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