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Esteri
Usa 2020: l'asse con l'Europa traballa. Non solo con Trump, anche con Biden
Foto: LaPresse

Negli ultimi anni lo storico legame tra Washington e il Vecchio Continente, inscalfibile per decenni nel secolo scorso, si è deteriorato in maniera considerevole. Un sodalizio che dal secondo dopoguerra aveva permesso la rinascita di un territorio, quello europeo, dilaniato da guerre interne e profondamente minato economicamente. Il rapporto Usa-Europa si è recentemente trasformato non tanto a causa dei leader politici a capo di uno o dell’altro Stato ma per via di cambiamenti strutturali della visione delle diverse società e soprattutto di interessi divergenti. Il fattore Donald Trump, tanto per essere subito chiari, non è stata la causa scatenante, anche se senza dubbio ha contribuito a confermare e ad accentuare la tendenza in atto.

Infatti, già il precedente presidente, Barack Obama, aveva allentato in qualche modo il filo diretto con i partner oltreoceano, lasciando intendere che le priorità statunitensi dovessero indirizzarsi verso altre zone del mondo: Medio Oriente, America Latina e Asia su tutte. Obama, però, a differenza del suo successore, aveva in più di un’occasione dimostrato di preferire un approccio multilaterale (l’accordo di Parigi e quelli sul nucleare i casi più eclatanti), e di appoggiarsi agli alleati europei. Trump invece, già dal primo anno della sua presidenza ha palesato l’interesse nel curare relazioni bilaterali con le singole nazioni. Con la sua ormai famosa richiesta ai membri Nato di impegnarsi per destinare alla Difesa il 2% del Pil nazionale, ha voluto dare un segnale forte a tutta l’Alleanza Atlantica (ma specialmente ad alcuni attori dell’Europa), la quale secondo la visione a stelle e strisce vive eccessivamente sulle spalle statunitensi.

L’Europa si guarda intorno

Le principali nazioni europee però nel frattempo hanno cominciato a stringere o a sondare relazioni più strette con le altre grandi potenze mondiali. Il caso della Germania è forse quello più indicativo, visto il forte dialogo intrapreso con la Cina sul piano commerciale e l’intesa con la Russia per la costruzione del gasdotto NordStream 2, prossimo però ad essere sacrificato dopo la vicenda dell’avvelenamento Navalny. La promessa del ritiro delle truppe statunitensi dalle basi tedesche di questi mesi si inserisce in un contesto in cui la rivalità tra Berlino e Washington si acuisce sempre più.

La Gran Bretagna, che per rivalità storiche (ma anche recenti) è restia ad avvicinarsi a Mosca, aveva però intrapreso un piano per ridurre le distanze con Pechino. La “golden era” delle relazioni anglo-cinesi, rilanciata dal 2015, si è però bruscamente interrotta nel corso della pandemia, ovvero quando Londra è diventata terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti sul 5G. Il colosso cinese Huawei era riuscita ad aggiudicarsi parte della costruzione della rete wireless nazionale britannica, ma è stata allontanata dall’intervento di Washington che ha fatto capire agli alleati le possibili conseguenze a cui sarebbero potuti andare incontro. Il Regno Unito ha quindi cambiato approccio nei confronti della Cina di Xi Jinping, come confermato anche dal sostegno che Londra ha dichiaratamente dato alla popolazione di Hong-Kong nella sua battaglia contro Pechino.

Anche la Francia, che con gli Stati Uniti ha sempre avuto un rapporto peculiare, ha visto un irrigidimento negli ultimi tempi. Le iniziative nell’ambito della Difesa europea del presidente Emmanuel Macron, come per esempio la European Intervention Initiative, o la frase rilasciata sulla “morte cerebrale della Nato” non sono piaciute a Donald Trump che per l’occasione ha indossato le vesti dello strenuo difensore dell’Alleanza fondata nel 1949. Ma non solo. Parigi ha in più di un’occasione rilanciato la volontà e la necesità di promuovere un miglioramento nelle relazioni con la Federazione Russa. Idea che di certo non trova grandi consensi negli apparati Usa.

E l’Italia?

L’Italia non è da meno. L’alleanza con gli Stati Uniti è forte ma allo stesso tempo i governi italiani hanno cominciato a guardarsi attorno. Il campanello d’allarme a Washington è scattato quando nel marzo del 2019 Roma ha firmato un MoU con la Cina, all’interno della Belt and Road Initiative. Primo paese del G7 a firmare un accordo del genere con Pechino. Così come un altro allarme, quello definitivo, è suonato durante la pandemia, quando dalla Cina sono state spedite tonnellate di aiuti umanitari (in Italia in primis, ma poi in molte parti del continente), miste a espedienti propagandistici, che hanno fatto scivolare l’opinione pubblica nazionale verso Oriente. Senza contare la questione 5G, sulla quale l’Italia ha timidamente aperto a Huawei, ritrattando poco tempo dopo.

Gli Stati Uniti sanno che in un possibile scontro con la Cina all’orizzonte, avere dalla propria parte gli alleati europei sarebbe fondamentale, ed è per questo motivo che temono lo slittamento del Vecchio Continente verso Pechino o verso Mosca. Ma chiunque sarà il prossimo presidente statunitense che uscirà vincitore dalla competizione elettorale del 3 novembre, sia Donald Trump sia Joe Biden, seguirà una linea pragmatica di difesa degli interessi americani anche a costo di continuare a sacrificare parte del rapporto privilegiato avuto per decenni con gli europei.

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