Quando Alexey Navalny si è imbarcato nell’aereo che lo avrebbe riportato in patria, dopo le cure ricevute in Germania, era consapevole dell’accoglienza al suo atterraggio e del rischio del carcere. Accusato di aver violato la libertà vigilata (a causa dell’avvelenamento e della degenza) per una sentenza del 2014, Navalny è stato tratto agli arresti per 30 giorni, e ora rischia una reclusione di tre anni e mezzo. Nonostante ciò, ha deciso comunque di tornare in Russia per sfidare apertamente il presidente Vladimir Putin.
Un affronto dalle conseguenze, almeno in parte, calcolate. L’impatto mediatico a livello internazionale è stato infatti molto forte, dando estrema carica alla sua causa. Un effetto poi confermato dalle più di cento milioni di visualizzazioni della video-inchiesta, diffusa dai profili social di Navalny durante i suoi primi giorni di prigionia, sulla reggia segreta che il presidente russo avrebbe costruito con tangenti. Una mossa che esplicita la volontà del dissidente di far breccia nella popolazione con il tema della corruzione governativa. Dal carcere ha anche lanciato un appello ai russi, a cui chiede di “scendere in piazza” non per la sua liberazione ma per il futuro di ognuno e perché, sempre secondo lui, è la cosa di cui più ha paura Putin.
Navalny, tra manifestazioni e carcere
L’invito di Navalny ha ricevuto una pronta risposta. In decine di città, da Mosca fino all’estremo Est, migliaia di persone si sono riversate per le strade. Le immagini della gente in piazza a Yakutsche che cantava a -50 gradi, hanno fatto il giro del mondo e sono il simbolo dell’ampiezza del fenomeno. Un’ondata di manifestazioni di dimensioni importanti, come mai accaduto in Russia negli ultimi anni, che oltre a protestare a favore della liberazione dell’oppositore, in alcuni casi (soprattutto nella parte orientale del paese) si sono intrecciate con il malcontento generale nei confronti del governo centrale.
Ci sono alcune particolarità di queste giornate di contestazioni che sembrano lasciar intravedere dei seri tentativi della società russa di superare il “putinismo”. Oltre alla vasta capillarità sul territorio nazionale già menzionata, a dar materiale su cui pensare al presidente russo sono la partecipazione di molti ragazzi della cosiddetta “Putin’s generation”, ovvero dei giovani nati e cresciuti con il leader al potere, e la violenza scaturita in certi momenti con gli Omon, la polizia antisommossa russa.
La repressione di Mosca, infatti, non si è fatta attendere. Sono state circa 4mila le persone arrestate e diverse decine quelle ferite a causa delle cariche di alleggerimento delle forze di sicurezza. Anche i più stretti collaboratori di Navalny, dopo le perquisizioni delle loro case e dei loro uffici, sono stati fermati per 48 ore per l’inosservanza di alcune misure anti-Covid, come riportato dal capo del Fondo Anticorruzione, Ivan Zhdanov.
Il Cremlino ha quindi mantenuto una linea di fermezza netta, ma d’altronde Putin ritiene di non avere tante opzioni. Il presidente russo non può permettersi un aumento delle proteste e un rafforzamento delle opposizioni, in vista delle elezioni parlamentari che si terranno a settembre e che rappresenteranno un test significativo per la tenuta del leader sul paese. Putin in questi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, ha provato a delegittimare in ogni modo il suo sfidante, per esempio non nominandolo mai. Ma oggi la mossa di Navalny sta pagando per i riflettori che ha acceso sull’intera vicenda. Proprio per questo Putin vorrebbe soffocare le manifestazioni sul nascere, anche a costo di incrociare lo sdegno e le condanne degli altri attori internazionali.
Navalny, le interferenze dal mondo Usa e Ue
Reazioni del mondo che non si sono fatte attendere. A partire dagli Stati Uniti che tramite le parole del neosegretario di Stato Antony Blinken e un comunicato ufficiale hanno criticato l’arresto di Navalny e richiesto la sua liberazione. Una mossa che non sorprende e che dalle parti del Cremlino si aspettavano, viste le dichiarazioni di Joe Biden nella campagna elettorale presidenziale in cui prometteva maggiore impegno di Washington sui diritti civili e un’attenzione particolare alla Russia. Proprio il nuovo inquilino della Casa Bianca ha chiamato Putin per esprimergli la sua “preoccupazione” per l’avvelenamento e l’arresto del dissidente e per la violenta repressione delle manifestazioni.
Anche l’Unione europea ha fatto sentire, forse più timidamente, la sua voce, sia con Ursula von der Leyen che con i principali leader del continente. Prese di posizione, specialmente quelle a stelle e strisce, che hanno comunque infastidito Putin, che le ha giudicate come tentativi di intromissione nella gestione di una pratica interna come quella di Navalny.
Ma nel frattempo le proteste non si fermano. L’appuntamento, dato dalla rete vicina all’oppositore, è per domenica 31 gennaio a Mosca davanti ai palazzi dell’FSB (i servizi segreti russi), dove andranno in scena nuove manifestazioni e, presumibilmente, nuove repressioni.
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