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Esteri
Obama, l'ultimo discorso alla nazione: no all'odio verso i musulmani


Nel suo ultimo discorso sullo Stato dell'Unione Barack Obama lancia un messaggio di fiducia e di ottimismo: "L'America resta di gran lunga la nazione più forte, l'economia più solida". Attacca duramente i candidati repubblicani alla sua successione: quelli che per ogni crisi in Medio Oriente hanno in mente solo "bombardamenti a tappeto", e quelli che "regalano allo Stato Islamico la rappresentanza di una delle più grandi religioni del mondo". Esprime "un grande rammarico" per ciò che considera il suo fallimento personale: la politica è più polarizzata che mai, dominata da "rancore e diffidenza", viziata dal "peso del denaro nelle campagne elettorali". Conclude col tono di un predicatore alla Martin Luther King, "vincerà l'amore incondizionato, la forza della verità".

E' un discorso storico, l'ottavo Stato dell'Unione della sua carriera, quello che conclude la parabola del primo presidente afroamericano, quello a cui affida la sua eredità storica. Lo apre descrivendo l'epoca in cui viviamo come "un tempo di straordinari cambiamenti, ricca di opportunità ma anche di traumi". Di fronte a quest'era di turbolenze ricorda lo spirito di Abraham Lincoln che esortava i suoi connazionali a "non appiattarsi sui dogmi di un passato tranquillo". Ciò che ha reso grande l'America è "l'aver visto opportunità dove altri avevano paura". E' uno spirito che ancora di recente ha consentito di "risollevarci dalla più grave crisi economica dei tempi recenti".

In quattro riferimenti traccia velocemente il bilancio positivo della sua presidenza: l'aver superato la crisi economica, riformato la sanità, reinventato il settore dell'energia, e sancito la libertà di sposare "chi si ama" (i matrimoni gay).

Sono quattro anche le grandi sfide che lui rappresenta. Una crescita equa. Un uso benefico delle tecnologie, a cominciare dallo sviluppo di energie rinnovabili. Un mondo più sicuro "senza che l'America debba fare il gendarme". Infine una politica che "rifletta il meglio di noi stessi". La prima sfida riguarda dunque l'economia: come far sì che "la New Economy offra a ciascuno eque opportunità". 14 milioni di posti di lavoro creati durante il suo mandato, un tasso di disoccupazione dimezzato, un deficit pubblico che la ripresa economica ha ridotto di tre quarti, sono risultati importanti ma non bastano. "Il disagio nel paese deriva da cambiamenti strutturali, ogni posto di lavoro può essere minacciato dall'automazione o delocalizzato all'estero, è diventato più difficile uscire dalla povertà, trovare lavoro per i giovani, andare in pensione quando si vuole". Tra i colpevoli indica le grandi banche e gli hedge fund, tutte quelle mega-imprese che "disegnano le regole in proprio favore e a scapito della middle class", sfruttano l'elusione fiscale nei paradisi offshore. Tra le proposte che lancia c'è la scuola materna gratuita per tutti, e due anni di università gratuita. Arriva il primo affondo contro la xenofobia di Donald Trump e Ted Cruz: "Non è certo per colpa degli immigrati se le retribuzioni non sono cresciute".

Seconda sfida: come rendere l'America "più sicura e più forte", senza inseguire la chimera di "andare a costruire nazioni in giro per il mondo", un'allusione alla dottrina del nation building professata dai neoconservatori di George W. Bush. Qui Obama reagisce con orgoglio a chi lo descrive come un presidente debole di fronte alle crisi internazionali e alle minacce degli avversari. L'America resta militarmente "di gran lunga la più forte, più delle otto nazioni che la seguono messe insieme". E se c'è una crisi da qualche parte del mondo si viene a bussare alle porte dell'America, "non si chiede una leadership a Pechino o a Mosca". L'instabilità del Medio Oriente è il prezzo di sconvolgimenti che "dureranno una generazione", mentre la Cina "è in una difficile transizione" e la Russia "ha un'economia a pezzi". Tocca all'America ricostruire un nuovo sistema di relazioni internazionali. Una priorità è la sconfitta dello Stato Islamico, "e chi ha dei dubbi sulla mia determinazione, vada a chiedere a Osama Bin Laden". Ma è un folle errore quello di "regalare ai terroristi degli alleati, sposando la loro pretesa di rappresentare una delle più grandi religioni mondiali". No a nuove invasioni militari, "abbiamo appreso le lezioni del Vietnam e dell'Iraq". Tra le prove del soft power americano sottolinea i risultati nella lotta contro il virus Ebola, contro l'Hiv, e "la sconfitta della malaria ormai a portata di mano". Difende con puntiglio una novità della sua politica estera nel 2015, l'apertura a Cuba. "E' così che si consolida la leadership Usa nell'emisfero delle Americhe, riconoscendo che la guerra fredda è finita". Ne approfitta per una stoccata al Congresso, dove la maggioranza repubblicana continua a negargli la levata dell'embargo su Cuba. Rigetta "ogni politica che prenda di mira le persone sulla base della loro fede religiosa", citando anche Papa Francesco. "Il mondo ci rispetta per la nostra diversità e tolleranza, quando dei politici insultano i musulmani non ci rendono più sicuri, tradiscono quello che noi siamo".

L'ultima sfida, è quella su cui Obama confessa la propria delusione. "Il futuro migliore si realizzerà solo se lavoriamo insieme, risanando il nostro sistema politico, la democrazia non funziona se pensiamo che chi non è d'accordo con noi sia sempre in malafede, la democrazia è guasta se il cittadino medio pensa che la sua voce non viene ascoltata". Obama arriva a sognare ad occhi aperti, dice che forse al posto suo uno come Lincoln ce l'avrebbe fatta. Lui no, lascia un mondo politico più litigioso e paralizzato che mai, inquinato dai grossi finanziatori. Promette che questa battaglia "non l'abbandonerò quando sarò presidente; perché tornerò in mezzo a voi cittadini e la proseguirò dalla vostra parte".

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