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Parigi, rubarono un’opera al museo africano: ora processo e 150mila € di multa
Mama Africa, la maternità nell'arte africana

Avevano tentato di rubare un palo funebre al Musée du Quai-Branly, e mercoledì saranno processati: rischiano fino a dieci anni di reclusione e una multa di 150.000 euro. Ma i cinque attivisti che denunciano il saccheggio dell'Africa ​​useranno il loro processo per attirare l’attenzione sullo spinoso argomento della restituzione delle opere confiscate durante la colonizzazione.

I cinque manifestanti erano stati arrestati il 12 giugno per aver rubato un palo funebre africano dal museo parigino du Quai-Branly. I responsabili avevano pubblicato online il video. Era stato il congolese Mwazulu Diyabanza a guidare il gruppo di protesta Les Marrons Unis Dignes et Courageux, un’organizzazione che lotta per la libertà e la trasformazione dell’Africa. Diyabanza aveva specificato che il furto era nato dalle volontà di opporsi a ciò che è stato il colonialismo e lo sfruttamento da esso derivato. L’attivista aveva, infatti, dichiarato che “questi beni e il denaro maturato durante la loro esposizione devono essere restituiti. Abbiamo calcolato quanti soldi le nostre opere d’arte hanno generato per questo museo. I profitti sono miliardi”.

Tuttavia, Diyabanza ha continuato le sue incursioni. Il 30 luglio è stato arrestato a Marsiglia dopo aver cercato di rubare, da solo, un oggetto d'avorio al Museo delle arti africane, oceaniche e amerindie. Il 10 settembre, con tre compagni ha tentato di rubare una scultura del Congo dall'Afrika Museum di Berg en Dal (Paesi Bassi), dove è stato arrestato e poi rilasciato dopo otto ore di custodia della polizia.

"Abbiamo dovuto affrontare il processo (a Parigi) con spirito combattivo, anche se è rischioso", ha detto ad AFP Emery Mwazulu Diyabanza. "Non avevamo intenzione di rubare quest'opera, ma continueremo finché l'ingiustizia del saccheggio dell'Africa non sarà stata riparata".

Ogni volta, l'attivista panafricano 41enne filma e poi pubblica online un video delle sue azioni. Una "diplomazia diretta" il cui obiettivo è quello di agitare il più possibile i social network. In quello del Quai Branly, lo vediamo aprire un’urna funeraria di Sara (Ciad o Sudan) del XIX secolo e portarlo lungo i corridoi, e poi urlare: "Li riportiamo a casa".

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