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Esteri
Putin gioca d'azzardo sulla pelle altrui

 

Nella partita a scacchi nordcoreana, Vladimir Putin ha fatto una mossa che potrebbe cambiare la situazione, sul terreno e nella politica internazionale. Mentre l’America implorava nuove e più severe sanzioni contro il regime di Pyongyang, in particolare un embargo internazionale che metterebbe la Corea in ginocchio, Mosca ha definito queste nuove sanzioni inutili ed ha ventilato l’uso del suo veto, in Consiglio di Sicurezza.

La presa di posizione di Putin ha un senso preciso. Rendendo di fatto impossibili le pressioni economiche costituite da sanzioni severe, l’uomo forte russo ha lasciato sul tavolo soprattutto l’opzione militare. Quell’opzione che gli Stati Uniti, per ottime ragioni, sono tanto riluttanti ad adottare. I primi ad avere paura di un’azione militare preventiva sono infatti i sudcoreani, che all’inizio delle ostilità potrebbero pagare un enorme prezzo. Enorme, anche se non il più grande: perché la Corea del Nord ne uscirebbe distrutta.

Kim e i suoi generali forse hanno dimenticato di che cosa sono capaci gli americani. La Francia era invasa dai nazisti e agognava la liberazione, ma ciò non impedì che gli americani – alleati – bombardassero tanto brutalmente due città bretoni, Brest e Lorient, che esse ne risultarono totalmente distrutte. Dopo la guerra furono ricostruite da zero, tracciando nuove strade, come se quello spazio fosse soltanto un enorme terreno edificabile. E rinunciando al carattere regionale. Quimper, Saint Malo, e tante altre cittadine prive di importanza militare, sono “bretoni”, Brest e Lorient sono anonime. E se gli americani trattano così gli alleati, si pensi ora ai nemici. Ma già, forse basta ricordare le immagini di Berlino nel 1945.

Si diceva che Putin lascia sul tavolo soprattutto l’opzione militare, e che la sua intenzione fondamentale è quella di mettere in difficoltà l’America, di renderla meno credibile e meno influente nel mondo, e soprattutto nello scacchiere dell’Estremo Oriente. Ma non è detto che la situazione in cui mette gli Stati Uniti sia poi così cattiva. Innanzi tutto, se si chiudono le vie diplomatiche od economiche, e rimangono soltanto le azioni militari, Kim Jong-un sarà costretto o a calmarsi, perché non può andare oltre dove è già andato o a fare una mossa così provocatoria da costituire un casus belli che darebbe ragione agli Stati Uniti comunque rispondano. Se per esempio inviasse un missile balistico sull’Isola di Guam, e centrasse il bersaglio, potrebbe anche darsi che entro i dieci minuti seguenti sulla Corea del Nord, incluso il palazzo presidenziale, cadrebbero venti, trenta, cinquanta missili ben più grossi e potenti di quello caduto su Guam. E nessuno potrebbe dar torto agli Stati Uniti. O almeno, i soliti sciocchi (gli intellettuali in prima fila) li criticherebbero, ma le persone di buon senso sorriderebbero delle critiche. Se ti sparano, e rispondi al fuoco, non puoi avere torto. Mettendo Washington con le spalle al muro, e rendendo più verosimile – quasi l’unica – la risposta militare, Putin mette con le spalle al muro anche la Corea del Nord. Abbaiare è un conto, mordere la coda di un leone è un altro conto.

Molti pensano che l’America – e Trump in particolare – in questa faccenda rischiano di perdere credibilità. E ci potrebbe essere del vero, in questa opinione. Soprattutto agli occhi dei molti Paesi dell’Estremo Oriente. Ma la vittoria appartiene a colui che resiste un minuto di più. Se gli Stati Uniti non si muovono, o Kim alla lunga la smette di fare il bullo, perché sarebbe ripetitivo e sempre meno credibile o fa una mossa sbagliata, e allora l’opzione militare sarebbe necessaria, plausibile ed applaudita. Quanto meno dagli alleati dell’America.

Si ricordi a questo proposito che, come dicono gli americani, “nulla ha più successo del successo”. Quando un’azione militare – pure discutibile quando è stata decisa – risulta vittoriosa, il Paese che l’ha attuata ne ricava credito e gloria. Si vide con le Falkland. Sembrò azzardato e forse stupido mandare una flotta all’altro capo del mondo per riconquistare un paio di isolette ben poco appetibili e popolate più di pecore che di esseri umani, ma Margaret Thatcher non mollò e ridette smalto al blasone britannico.

Quello che è triste, nella mossa di Putin, è il suo orrende cinismo. Forse desidera soltanto che, nella partita strategica mondiale, Mosca segni dei punti e Washington ne perda. Ma a parte il fatto che potrebbe succedere il contrario, questa presa di posizione potrebbe costare la vita a decine di migliaia di sudcoreani e a centinaia di migliaia, forse milioni di nordcoreani.

Putin è un politico intelligente e accorto, ma nessuno è infallibile.

 

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