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Esteri
Terrorismo, Italia in una botte di ferro? Più probabile un colabrobo...

di Massimo Falcioni

Il “prudente” atteggiamento politico del nostro governo nel quadrante medio-orientale ha fin qui salvato l’Italia dalla furia terrorista islamista abbattutasi ancora nel cuore dell’Europa. Così almeno ripete il premier Renzi per rassicurare gli italiani, invece per nulla sereni e poco convinti di essere in una “botte di ferro”, fuori dal mirino dei terroristi. Nel gioco dello scaricabarile fra i governi dei singoli Paesi europei e fra questi e la Ue le bombe dei kamikaze continuano ad esplodere facendo stragi di innocenti e producendo anche in Italia, oltre alla liturgia del “day after” con promesse, candele e sermoni, paura e smarrimento in attesa del nuovo colpo assassino che verrà.

Al di degli evidenti limiti “tecnici” di una Sicurezza chiusa negli egoismi e nelle gelosie dei singoli Stati, pesa la crisi economica generale e la crisi politica della Ue, pesa il logoramento prodotto dalle divisioni dei partiti nel parlamento europeo e nei singoli Stati. La Ue non è in grado di fronteggiare l’ondata terroristica perchè manca di credibilità e di forza politica. Non solo. Il fronte contro il terrorismo non è compatto perché – anche in Italia – oltre alle divisioni fra i partiti, ci sono aree (ad esempio intellettuali di sinistra ecc.) dedite alla “giustificazione” e alla “copertura ideologica” (per il disagio sociale degli immigrati di seconda e terza generazione e per le colpe passate e presenti dell’Occidente), civettando con l’estremismo e perfino “nobilitando” i suoi combattenti. Così si infila nella gente il morbo del dubbio sulla scelta di campo (con chi stare?) inducendo all’omertà quanto non alla “connivenza” e persino alla “complicità” con il terrorismo.

Come 40 anni fa contro le BR c’era la tesi dei “compagni che sbagliano” e il rifiuto della loro denuncia “perché non si deve fare i delatori” non manca oggi la giustificazione della violenza terroristica intesa come espressione della rabbia, della esasperazione per il disagio delle periferie e per lo status della realtà mediorientale. Poi qui la “guerra di religione” è il “valore aggiunto”, la scintilla che spinge il volano della macchina della distruzione. Lo stesso atteggiamento “prudente” del nostro governo è interpretato con ambiguità generando il sospetto che con i terroristi e i loro mandanti – per non avere i morti in casa e per salvaguardare gli interessi economici - si debba “trattare” e non affrontarli come nemici. Al di là delle diatribe sulle parole “guerra o non guerra”, il nemico c’è. E colpisce duro, ovunque decida di farlo, facendo a pezzi gente comune.

Di fronte non ci sono ragazzi sprovveduti, lupi solitari, ma foreign fighters jihadisti della porta accanto, selezionati, addestrati e decisi a tutto, coperti in Europa da una rete estesa di legami, manovrati da potentati in Medio Oriente cui non manca niente, decisi, al grido di “Allah è grande!” a destabilizzare e distruggere l’odiato Occidente. Ci sono ovunque in Europa cellule di islamici radicali in continua evoluzione in una rete organizzata contro gli “infedeli” che sta minando l’Occidente per farlo saltare, colpo dopo colpo. Anche in Italia nessuno si sente al sicuro, nessuno è convinto che a Bruxelles i terroristi abbiano sparato l’ultima cartuccia, nessuno crede che il governo (i governi) sia (siano) in grado di fronteggiare adeguatamente – anticipandoli nei loro atti delittuosi - i kamikaze e i loro supporter.

Che fare? Non è facile recuperare una lucida capacità di azione congiunta sul piano politico e su quello dei servizi di sicurezza stanando ovunque i terroristi ma anche tagliando la testa al serpente, ovunque sia, superando ogni ipocrisia e ambiguità politica smascherando gli Stati che creano e alimentano queste organizzazioni criminali. L’unità politica e l’azione congiunta dei Paesi europei è la base per affrontare la jihad islamica anche in Italia. La richiesta di bollare tutti i musulmani in Europa come terroristi puntando al loro rimpatrio è solo irresponsabile demagogia. La grande maggioranza di fedeli all’Islam presenti nei paesi europei non condivide l’estremismo e il terrorismo ma resta in una “zona grigia”, ben lontana dallo schierarsi. L’integrazione e il multiculturalismo restano l’obiettivo ma non ha prodotto i risultati sperati: soprattutto per gli errori dei governi “buonisti”, convinti che lasciar fare agli altri ciò che vogliono senza il rispetto delle nostre leggi e sfumando quando non rinnegando la nostra identità storico-culturale e anche religiosa sia la giusta strada per la convivenza pacifica.

L’opera culturale per l’integrazione non può essere disgiunta da una più attiva vigilanza (anche dei cittadini) sul territorio e dall’azione decisa e severa delle forze di polizia. Pur in modi e fini diversi la storia pare oggi ripetersi. In Italia, negli anni 70 e 80 del ‘900, dopo ogni attentato terrorista, la liturgia della protesta si esprimeva con assemblee nei luoghi di lavoro e sfilando uniti nei cortei mentre oggi ci si limita ad accendere candeline e a ripetere cantilene. Due modi diversi di esprimere cordoglio per le vittime e dire “No” al terrorismo: la partecipazione di massa faceva terra bruciata attorno ai terroristi, isolandoli, e spingeva politica e istituzioni ad agire, mentre oggi c’è la testimonianza personale spinta dall’emotività, priva di analisi e coscienza politica.

Questo terrorismo è diverso da quello di 40 anni fa. Ma oggi come ieri la lotta contro il terrorismo si vince su più piani, fuori dai condizionamenti ideologici, riconoscendone per primo caratteri antidemocratici, natura eversiva e obiettivi destabilizzanti. Va usata la legge e se non basta va inasprita, ridando ruolo e dignità alle forze preposte alla sicurezza – come i servizi – troppe volte mortificate. L’emergenza profughi e le guerre intorno sono il completamento di uno scenario internazionale fosco e allarmante. La priorità è la lotta al terrorismo che si batte con l’autorevolezza e il funzionamento delle Istituzioni, la capacità dei servizi di sicurezza, la coesione sociale, la “vigilanza democratica”. Non basta la protesta verbale nei talk show o il comunicato ufficiale di circostanza.

Ricorda l’ex Pci Emanuele Macaluso: “In Italia le BR furono sconfitte quando ovunque si manifestò una reazione e fu isolato chi solidarizzava e copriva i terroristi. Oggi, nei quartieri, i cittadini immigrati di religione islamica possono reagire insieme a noi”. Già. Ma chi lancia i tre squilli di tromba? Dove sono i partiti e i sindacati? Con i partiti “liquidi” si possono formare comitati elettorali e vincere le elezioni. Con i bla-bla della politica e dei soliti perbenisti le bombe e i kalashnikov non si fermano. Per scansare la furia terroristica – per adesso - non resta che sperare nella “prudenza” del governo e nello “stellone” italico.

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