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Esteri
Ucraina, un anno di guerra raccontato da una giornalista fuggita da Kiev
giornalista ucraina Yuliia Semyriad

Kiev, un anno dopo: l'intervista a Yuliia Semyriad, giornalista ucraina fuggita dalla guerra

È cambiato tutto per non cambiare nulla, da quel 24 febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Un anno di guerra ormai è trascorso, e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata a Kiev per incontrare Zelenky, ribadendo il sostegno dell’Italia. Affaritaliani.it lo ha ripercorso insieme Yuliia Semyriad, 44 anni, giornalista e scrittrice, fondatrice della prima biblioteca ucraina a Milano, "Biblioteca Ukraina Più", fuggita dall’Ucraina e rifugiatasi nella provincia di Milano agli inizi dello scorso marzo, appena le bombe hanno iniziato a colpire il Paese dalla bandiera gialloblu. Un vero e proprio esodo con i due figli, la madre e i suoi due cagnolini quello di Yulia, che dal nord-est dell’Ucraina li ha portati prima nella regione sud-occidentale del Paese, poi a varcare il confine con la Polonia, e da lì prendere la direzione dell’Italia, passando per Bila e Leopoli.

Cosa ricorda della fuga dal Suo Paese poco prima che Putin annunciasse l'inizio "di un'operazione militare speciale" per "demilitarizzare" l'Ucraina?

È stato il peggior viaggio della mia vita, e ne ricordo ancora oggi ogni singolo momento, da quando alle 5 di quella maledetta mattina mi sono svegliata per le esplosioni, e per la prima volta ho capito cosa fosse la paura, non tanto per me quanto per i miei figli.

Il viaggio è durato più di due settimane, principalmente su autobus e vagoni di treno carichi di profughi, con un rumore costante nella testa, quello degli spari, delle sirene. Avevamo con noi tante valigie e documenti, ma nessun posto dove andare, se non una casa abbandonata in cui abbiamo trovato riparo la prima notte. Poi siamo stati ospiti di qualche concittadino appena conosciuto nelle regioni più lontane. Ho documentato tutto attraverso l’unico strumento ancora nelle mie mani, i social network: il mio è stato un vero diario di guerra ma anche di speranza; la nostra vita è cambiata completamente, e abbiamo iniziato ad apprezzare le piccole cose, come svegliarci o avere per noi del semplice cibo. Non ho incontrato soldati, ma tanta gente disperata che come me tentava di fuggire il più lontano possibile dall’orrore che stava avanzando.

Ha contatti con qualcuno in Ucraina ad oggi? Come riesce a sopravvivere la popolazione?

La gente soffre, c’è poco da dire. E ha bisogno delle cose più essenziali per sopravvivere, dal cibo ai vestiti. Molti negozi sono stati distrutti dai missili, non abbiamo più un lavoro; non conosco nessuno tra quelli a cui sia rimasto qualcosa di più che non condivida con chi, invece, non ha più nulla. E anche la popolazione di quelle città che non sono state distrutte soffre, ha paura di partire e di perdere la propria casa, non vuole lasciare i genitori anziani o i propri animali. Ma c'è una rete di solidarietà enorme tra le famiglie: molte di esse hanno “adottato” persone che sono scappate soprattutto dal Donbass.

Lei come sta aiutando il Suo Paese?

Da mesi mi occupo di confezionare pacchi con alimenti e molto altro, che settimanalmente vengono spediti a famiglie ucraine attraverso un sistema di corrieri; il progetto si chiama “Cibobox”, ed è un vero e proprio canale aperto verso l’Ucraina, che si avvale dell’aiuto di un gruppo di amici della città di Vimercate e di una rete di persone, associazioni, enti e privati tra cui la Caritas, la Polizia locale e la Protezione civile. Da maggio del 2022 alla fine del 2022 sono stati spediti oltre 130 box per oltre 1250 kg di merce e una spesa sostenuta per gli invii di oltre 2 mila euro. Ora è una parte della mia vita, perché mi ha permesso di tornare ad essere impegnata e di rendermi utile per il mio Paese, soprattutto dopo i primi mesi che sono stati necessari per riprendermi dallo choc della fuga. Io, come molti altri rifugiati, abbiamo dovuto affrontare emozioni e paure enormi.

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