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Esteri
Usa-Cina ai ferri corti: bufera per il drone spia sulle isole contese

La Cina sequestra un drone americano nelle acque contese davanti alle Filippine e Donald Trump ne approfitta per sferrare ancora una volta via Twitter un nuovo attacco al Dragone: e all'ortografia. Accusando Pechino di "furto" e di "un atto senza precedenti", in inglese "unprecedented", il presidente eletto scrive invece nel messaggino "unpresidented". Il miliardario cancella il tweet e rilancia l'attacco corretto, ma il web, e soprattutto Star Trek, non perdonano. Tra i primi a fotografare e a diffondere lo strafalcione è infatti George Takei, l'attivista dei diritti umani meglio noto come il Signor Sulu, il timoniere dell'Enterprise nella serie tv: "Lapsus freudiano? Tutti noi", scrive giocando sull'inesistente parola "unpresidented" "speriamo che presto 'non sarà più presidente'". Scende in campo perfino il dizionario più famoso d'America, il Merriam-Webster: "La parola del giorno è... Non, non è unpresidented. Questa non la accettiamo".

Ci sarebbe da sorridere se la situazione non suggerisse più pensosi consigli. Il Pentagono giura che il drone finito in ostaggio fosse impiegato in una ricerca scientifica: ma perfino gli esperti militari americani sostengono che si trovasse lì per spiare. I cinesi, che prima dell'uscita del presidente eletto avevano già detto di aver avviato "una discussione" per "la restituzione nei modi giusti", accusano gli americani di "reazione esagerata" che "non contribuisce a risolvere l'incidente in maniera morbida". Sembra una minaccia e tocca al Pentagono questa volta girare le carte in tavola, anche per arginare altre possibili reazioni dopo il tweet: Pechino, sintetizza la Difesa Usa, è d'accordo a restituirci l'apparecchio. Tutto risolto? No. A complicare le cose arriva l'ennesima sparata di Tweeting Trump che a sorpresa, nella nota Usa di sabato, insiste: "Dovremmo dire alla Cina che non vogliamo indietro il drone che hanno rubato: se lo tenessero!". Un altro tweet che imbarazza il suo stesso Pentagono e che per via del fuso orario rovina il risveglio a Pechino alle prese con la mini-crisi.

Il pasticcio per la verità è solo l'ultimo nella vicenda infinita delle isole contese dal Vietnam al Giappone. In questa parte del Mare della Cina del Sud passano beni per 5mila miliardi di dollari all'anno: un terzo di tutto il traffico mondiale. Le Filippine finora sono l'unico Stato ad aver finora vinto una prima battaglia contro Pechino che ne reclama la sovranità: e per farlo ci ha costruito sette isolotti artificiali. Ma ieri il presidente Rodrigo Duterte ha detto l'arbitrato dell'Aia che gli dà ragione non conta più: "Non farò nulla per impormi a Pechino: la politica nel Sud Est asiatico sta cambiando". Equilibrio pericolosissimo: i legami con la Cina sono stati rinsaldati dopo che gli Usa hanno criticato la sua campagna antidroga che ha già fatto quasi 6mila morti. E il presidente-sceriffo che rivendica di aver ucciso lui stesso tre tossicodipendenti ora non ha il coraggio di criticare l'ultima offensiva del Dragone. Le foto satellitari mostrano batterie antiaeree e barriere antimissile sulle isole artificiali: la Cina, dice l'Asia Maritime Transparency Initiative, si prepara alla guerra. Ma il ministro della Difesa di Manila, Perfecto Yasay jr, allarga le braccia: "E cosa possiamo fare a questo punto?".

Che si può fare a questo punto: è la domanda che vola non solo di qua e al di là del Pacifico. Il sequestro è l'ultimo atto della guerra scatenata dalla telefonata di Trump con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen. Pechino considera l'isola una provincia e un provvedimento approvato 15 anni fa prevede l'invasione se Taipei dovesse proclamare l'indipendenza. È la cosiddetta politica di una sola Cina: gli Stati Uniti la tollerano dal 1979 ma Donald Trump dice di "non sentirsi obbligato", cosa per cui si è beccato ieri l'ennesima (e inutile) reprimenda di Barack Obama. C'è chi scommette che la sua sia solo una manovra per negoziare migliori accordi commerciali. Ma per ora l'unica manovra riuscita è quella dei cinesi, che mentre i marinai Usa della Bowditch stavano per riportarlo su, si sono impadroniti di quell'apparecchio da un metro e mezzo e da 150mila dollari: e chissà che non siano riusciti a rubargli anche qualche segreto, nella loro eterna corsa all'avanzamento tecnologico.

Pechino ha giustificato il furto dandogli pure una base legale: che poi sarebbe l'assoluta mancanza di una normativa internazionale sui droni. "È una zona grigia" ammette il più rosso e battagliero dei media di Stato, il Global Times : "Se gli americani possono mandare un drone, allora la Cina glielo può requisire". Ma quanto potrà durare questo clima? E quanti errori saranno in agguato quando il futuro leader del mondo libero invece di pigiare sul telefonino potrà farlo su altri comandi? Chiacchierando informalmente con la stampa straniera, tra cui Repubblica , la presidente della commissione Esteri dell'Assemblea nazionale del Popolo, Fu Ying, l'altra sera ha mostrato l'ironia di sempre incalzata dalle domande su Trump: Wait and see, aspettiamo e vedremo. Che altro fare di fronte a una situazione "unpresidented".

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