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Esteri
Usa, i giovani della generazione Z da Millennials a Pandemials

Il Coronavirus ha ammazzato in tutto il mondo specialmente gli over 80, colpito il lavoro degli over 50 e modificato in peggio la vita dei giovani, da “millennials” o “centennials” a “pandemials”.

Ovviamente lo status sociale ha fatto la differenza e la pandemia è stata per pochi eletti meno dura mentre per tanti normali è risultata pesantissima.

In ogni caso i giovani hanno subito riflessi pesanti dal punto di vista del “modus vivendi” e i giovani americani non lo sono stati da meno.

Scuole, campus  e università chiuse, i primi progetti di studio che non partono, i primi lavori occasionali che finiscono prima ancora di partire o altri part-time che finiscono all’improvviso.

Per la generazione Z, quella più iperconnessa, i nati cioè tra il 1996 e il 2010, il Coronavirus ha significato richiudersi ancora di più nel loro mondo, relegati all’interno delle proprie camere a gestire socialità tutta virtuale.

Secondo un'indagine di Cuso International che ha utilizzato i dati dell’Onu, un giovane su sei tra i 18 e i 29 anni  ha perso il lavoro in America,America Latina e nei Caraibi dall'inizio della pandemia. Inoltre, molti studenti hanno dovuto lasciare gli studi a causa della mancanza di risorse o dell'impossibilità di seguirli su Internet.

La pandemia, nei potenti Stati Uniti, ha costretto così milioni di giovani adulti (18-29 anni) a ritornare dai genitori, sia perché le università dove stavano studiando avevano chiuso sia perché si sono trovati improvvisamente disoccupati.

Questo percorso di vita all’incontrario, secondo i dati del Pew Research Center, aveva fatto registrare un picco così alto solo nel 1940, verso la fine della Grande Depressione, quando il 48% dei giovani adulti fu costretto a tornare a casa dei genitori a causa del disastro economico con disoccupazione diffusa, crollo della classe media, il calo dei consumi e una crisi sociale profonda.

A luglio 2020, il 52% dei giovani adulti risiedeva con uno o due dei genitori. Nel 2010, quella cifra era di circa il 40% e nel 2000 era appena del 36%.

Oltre quattro milioni di persone, laureate nell'anno accademico 2019-2020, secondo il Dipartimento dell'Istruzione degli Stati Uniti, hanno visto cancellate le offerte di lavoro e hanno perso fiducia di poterne trovare altre.

All'inizio molti studenti hanno visto la chiusura delle scuole come una momentanea pausa, un qualcosa di quasi “accettabile”, ma poi quando i risparmi sono finiti e non si poteva più pagare l’appartamento condiviso con i compagni molti hanno dovuto riprendere la strada verso la casa di famiglia.

Un dato che ha fatto particolarmente scalpore relativamente alla perdita di lavoro ha riguardato il comparto dei giornalisti. Ben 36000 professionisti giovani e meno giovani sono stati licenziati e questo crollo ha fatto ancora più vedere la pesante realtà.

Al disastro economico si è sicuramente aggiunto il disastro psicologico che ha toccato particolarmente le nuove generazioni che hanno dovuto rinunciare ai rapporti sociali aumentando al massimo l’isolamento nello spazio virtuale.

Secondo un rapporto del giugno 2020 del Center for Disease Control and Prevention, su quasi 5.500 giovani tra 18 e 24 anni, partecipanti ad uno studio, uno su quattro aveva considerato il suicidio e aveva assunto farmaci per sostenersi durante la pandemia.

Ma adesso con i milioni di dosi di vaccino distribuite e le tante persone vaccinate si comincia a riprendere la vita persa in un anno e mezzo di pandemia.

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