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Covid, contro la “disperazione biologica”: l’uomo aumenta la biodiversità
Foresta Nera

Che la progressiva distruzione di molti ecosistemi naturali sia uno dei cofattori all’origine della pandemia di Covid-19, non dà adito a molti dubbi. Così come pochi, ormai, contestano che l’intervento umano sia alla base dei cambiamenti climatici. Ma il biologo della conservazione Chris Thomas, docente all’Università di York e Fellow della Royal Society inglese, si oppone a questa diffusa «disperazione ecologica», come la chiama nel suo nuovo libro “Il mondo di domani”, edito in Italia da Aboca edizioni.

Covid, il biologo Thomas contro la "disperazione ecologica" 

“L'epidemia di Covid-19 non è causata dai cambiamenti climatici o direttamente collegata alla deforestazione; ma è probabile (ma non ancora dimostrato) di essere stato mediato dal commercio illegale e / o dal consumo di animali selvatici. L'attuale situazione umana ed economica fornisce una chiara dimostrazione del motivo per cui le nazioni del mondo dovrebbero agire in modo deciso per fermare questo commercio in questo momento”. Decenni di ricerca ecologica e di viaggi in alcune delle parti più biologicamente interessanti del mondo, dal Borneo alla Nuova Zelanda (via Yorkshire), gli hanno rivelato la portata del nostro impatto, negativo, sulla fauna selvatica indigena. Ma, pur non sottovalutando il fenomeno, Thomas ha scoperto anche che i cambiamenti umani incoraggiano l’arrivo e lo sviluppo di specie immigrate, ibridi emergenti e sottospecie che presentano adattamenti appena evoluti. In altre parole, il biologo incoraggia a guardare con un occhio meno critico l’azione dell’uomo sulla natura. Perchè, afferma, «deviazioni» dei mutamenti rispetto al passato non sono solo necessariamente peggiorativi. «Un’estinzione di massa è in pieno svolgimento e le previsioni per il futuro sembrano terribili. Per questi motivi, siamo arrivati al punto di descriverci come il flagello della Terra» scrive, prendendo le distanze dall’apocalittico quadro dei «professionisti dell’ambientalismo», come li definisce. 

Covid, la teoria controcorrente di Thomas 

Nel suo libro, Thomas non è interessato a nutrire questa disperazione. Piuttosto, azzarda una teoria controcorrente: l’impatto delle persone sul pianeta non è stato sempre così catastrofico. La natura, afferma, è più complicata di come la immaginiamo. L’umanità sempre più diffusa ha praticamente riunito i continenti in un «supercontinente» virtuale, mescolando piante, animali, microbi e specie fungine in modo inedito, mai verificatosi dai tempi della Pangea, oltre 200 milioni di anni fa. Le alterazioni umane sul pianeta - come la conversione della maggior parte delle praterie del mondo in pascoli e colture - hanno trasformato l’ambiente in cui le altre specie prosperano o muoiono. Di conseguenza, alcune piante, animali, microbi e funghi vincono e alcuni perdono, come sempre è avvenuto nell’evoluzione della natura.

Un modo in cui animali e piante rispondono ai cambiamenti climatici è quello di andare oltre le loro distribuzioni storiche, proprio come fanno quando vengono trasportati in nuove regioni dall’uomo. È vero che alcune specie invasive danneggiano gli ecosistemi (la Commissione europea, per esempio, sta pianificando leggi per controllare questi impatti), ma lo stesso processo può aumentare la diversità ecologica. In media, meno di una specie autoctona muore per ogni specie che arriva. Thomas cita la Gran Bretagna, che ha guadagnato 1.875 specie non autoctone senza ancora perdere nulla. Nuovi habitat antropogenici (cambiamenti della vegetazione causati dall’intervento umano), come terreni agricoli e città, in genere supportano meno specie rispetto a quelli originali, ma ne contengono alcuni che prima erano rari o assenti. Esempio lampante di tutto ciò è un animale che e diventato parte integrante del nostro paesaggio e cioè il passero selvatico, che dalle steppe e semi desertiche dell’Asia occidentale si sono spostati verso villaggi e grandi città. Da qui si sono trasferiti in tutto il mondo, entrando a far parte della nostra quotidianità, diventando il familiare passero domestico. 

Il cambiamento climatico è sia positivo che negativo. Sembra essere piuttosto disastroso per molte barriere coralline (combinate con l'acidificazione degli oceani), e sostengo fermamente che dovremmo intraprendere strategie di neutralizzazione del carbonio. Tuttavia, i cambiamenti climatici (in particolare il riscaldamento) non sono dannosi per tutte le piante e gli animali del pianeta. Nel complesso, dobbiamo accettare i cambiamenti biologici perché è il modo in cui i sistemi biologici della Terra rispondono ai cambiamenti ambientali. Cercare di fermare il cambiamento biologico non ha senso”. 

Covid, il cambiamento climatico rafforza le diversità

Il cambiamento climatico tende perciò secondo il biologo inglese a rafforzare la diversità regionale di alcune piante ed animali e quindi “man mano che  il clima si riscalderà nuove opportunità aumenteranno. La temperatura media del mondo è di circa 14°, mentre la maggior parte delle specie raggiungono il loro massimo rendimento fisiologico ben al di sopra di quella soglia. Le alghe planctoniche, fondamentali per l’ecosistema dei mari, raggiungono comunemente le massime prestazioni a 15-30°, quindi più i mari si riscalderanno più esse si diffonderanno. Tesi diametralmente rispetto a quanti preconizzano scenari da incubi per i nostri oceani in caso di aumento delle temperature di qualche grado centigrado. In Gra Bretgna la media annua della temperatura è di 10°.ma la maggior parte degli insetti diventano pienamente attivi solo quando le temperature sono ben superiori, intorno ai 20°. L’ibridazione tra specie diverse, nel caso della flora, è un altro cambiamento non negativo: avviene quando piante che prima erano separate entrano in contatto. Nelle isole britannniche si sono diffusi negli ultimi anni 88 ibridi tra specie vegetali autoctone e introdotte. «Invece di concentrarci sulla conservazione degli ecosistemi passati, sostiene Thomas, dovremmo concentrarci sulla conservazione della biodiversità, in modo che gli esseri viventi possano rispondere in modo flessibile alle sfide future. Man mano che il clima cambia, dobbiamo permettere anche agli animali e alle piante di spostarsi.

Ma anche sul fronte animale sorprendente è il fatto che la quantità totale di carne di mammiferi è aumentata dall’avvento dell’uomo sul Pianeta. Il conto deriva dalla somma di circa 1,5 miliardi di bovini, 1,2 miliardi di pecore e 1 miliardo di capre, oltre 130 milioni di bufali, circa 60n milioni di cavalli, almeno 40 milioni di asini, 13 milioni di cammelli, circa 7 di lama oltre un milione di renne e così via. Ma anche gli uccelli prosperano, considerando che al mondo vivono circa 22 miliardi di polli e mezzo miliardo di tacchini. La biomassa totale degli uccelli sarebbe aumentata del 40% da quando forniamo loro grano da mangiare, gli somministriamo medicinali e li proteggiamo dai loro voraci cacciatori come le volpi. Non solo.

Mentre si parla sempre della deforestazione, una recente ricerca dell’Università del Mayland, pubblicata l’anno scorso su Nature, la superficie mondiale coperta da vegetazione sarebbe cresciuta, negli anni tra il 1982 e il 2017 del 7,1 per cento, con un aumento di 2,24 milioni di chilometri quadrati. Questo aumento è sopratutto dovuto all'ampliamento delle foreste nei paesi temperati di America, Europa e Asia (dovuta all'abbandono delle colture), dalla crescita di alberi nelle zone polari (a causa del riscaldamento globale), e dai piani di riforestazione in Cina. E poi sono aumentati gli alberi nelle zone montane, segno anche questo di temperature in crescita. Gran parte di questo effetto, scrivono i ricercatori, dipende proprio dall’opera diretta e indiretta dell’uomo. L'aumento maggiore si è verificato nelle foreste temperate continentali (+726.000 km quadrati), foreste boreali di conifere (+463.000 km2), foreste umide subtropicali (+280.000 km2), Russia (+790.000 km2), Cina (+324.000 km2) e Usa (+301.000 km2). Il riscaldamento globale ha fatto espandere le foreste nelle zone polari. Dove c'era la tundra, ora crescono gli alberi.

Secondo un altro studio del 2018 dell’Eth, l’Istituto Politecnico Federale di Zurigo, attraverso il più grande set di dati provenienti dall’inventario delle foreste mondiali (la Global forest biodiversity initiative) ha censito tutti gli alberi presenti sul pianeta, dimostrando che sarebbero 3.040 miliardi: 420 per ogni essere umano che abita il pianeta, sette volte più di quanto stimato. Sempre secondo gli studiosi svizzeri, sulla base del loro studio, pubblicato su Nature, ci sarebbe spazio ancora per 1,2 trilioni di nuovi alberi, che potrebbero assorbire più carbonio di quello emesso ogni anno dalle attività umane.  “Il vero obiettivo di quelli che si professano ambientalisti dovrebbe essere di mantenere ecosistemi e specie con caratteristiche robuste, piuttosto che difendere un equilibrio instabile, perchè la presenza dell’uomo ha certamente contribuito ad aumentare la biodiversità della terra.” Conclude il biologo inglese.

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